RESQ: DIARIO DEL MEDICO DI BORDO | Medici per i Diritti Umani

RESQ: DIARIO DEL MEDICO DI BORDO

La seconda missione in mare di ResQ – People saving people si è conclusa con 59 persone tratte in salvo e sbarcate in Italia il 15 ottobre. In questo momento, l’equipaggio della nave si trova nel porto di Pozzallo in quarantena.

ANTONIO, coordinatore medico della clinica mobile di MEDU a Firenze, ci racconta la sua missione a bordo della nave ResQ: i momenti di attesa in mare, quelli concitati del salvataggio, l’azione di cura ma anche i sentimenti di frustrazione e rabbia.
LEGGI LA TESTIMONIANZA –
“La missione SAR (Search and Rescue) è terminata. Negli ultimi due giorni, bloccati dalla quarantena sulla nostra nave di fronte alle coste siciliane, abbiamo riordinato le cose, sia materiali che interiori. Vari momenti si sono susseguiti, passando dall’euforia di aver portato a terra le persone che abbiamo soccorso, ai momenti di stanchezza dovuta al calo di adrenalina e alla metabolizzazione di quanto successo, rielaborazione sia personale che collettiva.
Ho ripensato a questi 15 giorni. Dai preparativi e l’ambientamento su quella che sarebbe stata Casa per questo periodo, alla conoscenza di quello che sarebbe stato il nostro spazio di “lavoro”, mio e di Silvia, la collega infermiera. Le esercitazioni di Rescue e i debriefing successivi, lo scambio, a volte lento e impacciato a volte imprevedibilmente rapido, dei propri punti di vista e pensieri. La partenza, e la conseguente scoperta di cosa significa condividere il poco spazio con persone che diventano la tua comunità, abituarsi alla presenza continua del moto del mare sotto i piedi, il suo respiro che a volte culla a volte rende un’impresa ogni minimo movimento.
Ripenso all’ansia presente prima del salvataggio. La notte, la luna già scomparsa nel mare. Poco tempo per elaborare e per agire. I respiri trattenuti di noi in attesa sul ponte, in attesa di un segnale da parte dei rhib (i nostri gommoni di salvataggio). Il sospiro quando abbiamo stretto la mano sul ponte alle prime persone soccorse. Il loro sollievo negli occhi. Preghiere. Lacrime. Abbracci. Sguardi senza voce che racchiudevano vite, sogni e incubi.
Come sanitari Silvia e io abbiamo fatto un primo rapido triage sul ponte. Niente emergenze, ma necessità di prendere decisioni con poche parole, a volte uno sguardo, su chi avrebbe avuto precedenza dal nostro punto di vista. Una donna in gravidanza, un ragazzo con severi problemi renali, un veloce screening su possibili segni di scabbia mentre il resto dell’equipaggio sul ponte raccoglieva i giubbotti di salvataggio e distribuiva materiale di primo soccorso.
Nei giorni seguenti, in attesa di un porto sicuro, abbiamo continuato ad essere presenti in mezzo alle 59 persone, raccogliendo con l’aiuto dei nostri mediatori culturali le necessità mediche e visitando quotidianamente chi aveva maggiormente bisogno. Abbiamo predisposto una evacuazione medica per un ragazzo con urgenza sanitaria, tenuto sotto controllo la gravidanza della ragazza. Abbiamo avvertito dentro di noi lo spaesamento, l’angoscia, la paura nei loro occhi alla vista delle piattaforme libiche mentre cercavamo disperatamente di raggiungere una barca in distress, troppo lontana da noi e troppo vicina alla “guardia costiera libica”. Una corsa affannata e vana. E la speranza negli occhi di queste persone a bordo che si spezzava alla notizia del nostro mancato salvataggio. Rabbia, frustrazione, senso di colpa ed impotenza nostro e loro. Ore fredde, dense, cercando avidamente conforto negli occhi che incrociavi in questi 30 metri di umanità.
Infine il ritorno verso l’Italia, la notizia di un porto sicuro, i balli e la gioia nostra e loro, lacrime e sollievo. In quel momento non c’erano salvatori e salvati, non c’erano confini, potere e povertà, in quel momento eravamo realmente tutti esseri umani, assente quella gerarchia di diritti e libertà che quotidianamente si presenta sulle nostre strade. Poche ore dopo questa immagine è stata cancellata dall’arrivo in porto, sulla “nostra terra”. Militari, polizia, barriere. La realtà è tornata a squarciare la notte precedente, la percezione dell’esistenza di confini, muri, differenti diritti creati dalla nostra società si sono palesati come uno schiaffo sul viso. Ho accompagnato il medico di terra nella rapida valutazione delle persone soccorse. Ogni sguardo che incrociavo portava speranza, mentre nei miei esplodeva il senso di colpa. Colpa per essere in fondo parte anche noi di questo meccanismo. In questi ultimi giorni mi sono reso conto di quanto questa situazione sia un gioco perverso.
Io sono un medico, lavoro per curare le persone, chiunque siano e da dovunque vengano. Ma ciò che ho fatto non dovrebbe più essere necessario. Nasce da diritti negati, da politiche dettate dalla paura dell’Altro, da squilibri che noi “fortunati” continuiamo a perpetrare verso chi non ha voce. Spesso in questi giorni mi sono ritrovato a leggere queste parole di Pasolini: “Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.” Tutto questo è stato creato da noi, e non servono eroi o salvatori per eliminare questo male. Serve che nessuno volti lo sguardo davanti all’Altro.”
Foto di Antonio Annovi
Tipo di documento: Comunicati stampa, News,
Progetto: esodi, On-to, Psychè, sbarchi in sicilia, Un camper per i diritti/Fi, Un camper per i diritti/rm