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La scrittura come cura
“Ho conosciuto Malick nel 2019, quando ha cominciato un percorso di assistenza psicologica presso il Centro clinico Psyché di Roma. Si trattava di incontri superficiali e di circostanza, prima e dopo le sue sedute con le colleghe. C’era già tutto il suo sorriso, ma rispettavo la sua riservatezza. Seguirono alcuni incontri di natura strettamente psicosociale, finalizzati a una sua integrazione sociale, che si rivelarono proficui ma non aprirono comunque un dialogo profondo tra noi.
Il passaggio decisivo è avvenuto con la musica. Abbiamo coinvolto Malick nel laboratorio di musica che il progetto Psyché proponeva allora come ulteriore canale di riabilitazione e partecipazione sociale, che nello stesso anno si è trasformato in una band musicale composta da migranti e non, amatori e professionisti. Lì ho visto emergere la sua voglia di condividere i testi che scriveva e i pensieri che lo accompagnavano, con insieme orgoglio e timidezza. In occasione della Giornata Internazionale del Rifugiato, lo vidi esibirsi al Teatro India con una sicurezza e un desiderio sorprendenti.
Durante il lockdown, mesi dopo che Malick aveva terminato il suo percorso clinico con noi, ho pensato a lui come candidato ideale per il progetto ‘Diari Multimediali Migranti’ nella cornice dell’iniziativa ‘DIMMI di Storie Migranti’, un concorso nazionale per la raccolta e la diffusione di testimonianze autobiografiche di persone di origine o provenienza straniera. Ero convinto che la sua spiccata capacità compositiva e la sua particolare modalità di raccontare la sua storia avrebbero dato un bel risultato. Non mi sbagliavo.
Malick è arrivato tra i 7 finalisti del concorso, che verranno pubblicati nel prossimo volume di storie e che venerdì 18 settembre hanno preso parte alla cerimonia ufficiale a Pieve Santo Stefano. La giuria ha deciso di premiarlo perché ‘con crudezza e coraggio ha ripercorso per DIMMI un pezzo della sua back way dal Gambia all’Italia, affermando – se ancora ce ne fosse bisogno – il segno marcato a fuoco sulla psiche dei migranti, oltre che sulla loro carne viva’”.
Testimonianza di Amedeo Pagliaroli, coordinatore psicosociale del Progetto Psyché
Progetto: Psychè