Hassan | Medici per i Diritti Umani

Hassan

H. arriva per la prima volta in Italia a marzo 2011. Viene fermato a Domodossola, forse mentre cercava di andarsene dall’Italia. Non gli viene chiesto se vuole richiedere asilo, si stava riparando dalla pioggia nella stazione, insieme a tre ragazzi egiziani. La polizia gli chiede le generalità, lo identifica, lo espelle. Lasciare il paese entro un tot di giorni. E deve pure andarsene dalla stazione, sotto la pioggia. Punto.
Allora parte e arriva in Belgio. Rimane tre mesi, lo fermano, identificano, impronte in Italia. Messo su un aereo con un foglio Dublino e rimandato qui. Arrivato all’aeroporto lo fermano, identificano, espellono.
Va al CIR, gli dicono: tutto ok, non ti preoccupare, chiedi asilo. È luglio.
Va in Questura, Via Teofilo Patini, strade lunghe e vuote, mondo rarefatto. Va un giorno, torna domani. Torna, niente da fare, vieni domani. Avanti così per un po’. Finalmente gli prendono di nuovo le impronte. Appuntamento per la verbalizzazione a gennaio 2012. Ha problemi ai denti, va dal dentista a luglio la prima volta. Appuntamenti di mese in mese, si risolve poco. I denti fanno male, il morale si abbassa. Parla inglese, bene. E l’italiano? Ancora no, il cervello vorrebbe ma il cuore no. Non riesce. Odia alcune parole, le sogna addirittura.
Mangiare, dormire, parla italiano, allora, domani, dopodomani, aspettare, sempre aspettare.

Dorme alla tendopoli per un po’, poi entra a Casa della pace. Dice che chi lavora a casa della pace fa il pastore. Le pecore a dormire, le pecore escono, si pulisce la stalla, le pecore rientrano, vengono nutrite e a dormire di nuovo.
È duro, rabbioso, teso.

Oggi andiamo in questura, gennaio 2012, finalmente la verbalizzazione. E magari un posto a Castelnuovo di porto, il CARA, almeno non deve vagare per parchi di giorno senza sapere cosa fare. Poi lì c’è la scuola. E non si deve prendere l’odiato bus 105, 2 ore di Casilina piena di buche e traffico. Parla tanto, racconta delle donne afgane, della sorella, della madre e dei fratelli. Di come ha imparato l’inglese. Dice che ama molto la madre, le madri sono dolci. Tutto passato, poco futuro. Mi chiede quanto penso che costi aprire un caffè.
Ci incontriamo alle 7:30 alla stazione Termini. Lui aspetta dalle 7, è uscito di casa alle 5:30 per essere sicuro di arrivare in tempo. L’appuntamento in Questura è alle 8. Per tutti è alle 8. Troviamo almeno 40 persone ammassate davanti ai cancelli aspettando che aprano. Troneggia un cartello: gli uffici aprono alle 8:30. Ah… Si apre, si entra. Aspettiamo chiacchierando e facendo una breve lezione di pashtun. Il patto è chiaro. Impara l’italiano se imparo il pashtun. Stiamo bene, dice che è felice al 40%, step by step. Alle 12:00, come aveva previsto, lo chiamano. Entro anche io, chiedo che gli venga data l’accoglienza in CARA, a Castelnuovo preferibilmente, non a Crotone, dove hanno inviato un ragazzo qualche settimana fa. Non si può, mi dice il poliziotto, perché ha un’espulsione. Mmmm. Rimandiamo la discussione, lui ha paura che si arrabbi. Copiano il C3 che avevamo compilato insieme. Lo mandano via, aspettare. Aspettare per una data. Aspetta. Lo richiamano. Appuntamento a marzo. Chiedo di riparlare con il poliziotto. È in giro, mi dicono. Beh, parlo con un altro. Dico, proprio perché ha l’espulsione deve essere accolto. In CIE, mi dicono. No, in CARA. Cito l’articolo. No, in CIE. CARA-CIE-CARA-CIE. Desisto. Domani andiamo dall’avvocato. Torniamo in silenzio. È abbattutto, arrabbiato. Anche io. Non trovo parole consolanti. Si risolve, dico. Ma non è questo il punto. È quello che è già successo. Esperienza da cani.