ISRAELE: richiedenti asilo bloccati alle frontiere Eritrei respinti verso l’Egitto nonostante il rischio di subire abusi. | Medici per i Diritti Umani

ISRAELE: richiedenti asilo bloccati alle frontiere Eritrei respinti verso l’Egitto nonostante il rischio di subire abusi.

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(Gerusalemme, 28 ottobre 2012) – , Human Rights Watch, Hotline for Migrant Workers, e Physicians for Human Rights – Israele denunciano che dal giugno del 2012 l’esercito israeliano ha impedito a decine di richiedenti asilo, per la maggior parte di nazionalità eritrea, di attraversare la nuova barriera innalzata da Israele al confine con l’Egitto. Le tre organizzazioni sostengono inoltre che lo Stato d’Israele abbia illegalmente già deportato altre decine di richiedenti asilo verso l’Egitto. Lo Stato d’ Israele dovrebbe cessare di respingere i richiedenti asilo alla sua frontiera con l’Egitto a meno che i suoi funzionari non determinino attraverso un’ equa procedura che essi non subiranno minacce alla propria vita o alle proprie libertà fondamentali e non saranno sottoposti a trattamenti inumani e degradanti a causa del respingimento stesso.

Costringendo i richiedenti asilo e i rifugiati a restare all’interno del confine egiziano e deportandone altri al suo interno, Israele sta esponendo questa popolazione al rischio di una prolungata detenzione nelle carceri e nelle stazioni di polizia egiziane, dove non potranno richiedere la protezione internazionale e l’asilo, a quello di un rimpatrio forzato in Eritrea oltre che al pericolo di gravi abusi perpetrati dai trafficanti di esseri umani nella regione del Sinai. L’affermazione dei funzionari israeliani per cui “Israele ha la facoltà di sigillare i suoi confini nei confronti di chiunque” è erronea dal punto di vista del diritto internazionale dei diritti umani e della protezione internazionale.

“La costruzione di una barriera recintata al confine non dà ad Israele il diritto di respingere i richiedenti asilo” ha affermato Gerry Simpson, avvocato e ricercatore senior nel settore della protezione internazionale di Human Rights Watch. “Il Diritto internazionale è cristallino in tal senso: non sono ammessi respingimenti sommari alle frontiere di richiedenti asilo né rimpatri forzati senza che e fino a quando non venga stabilito che la richiesta di protezione internazionale non è fondata.”

Per almeno sette volte dal giugno scorso, le forze israeliane che sorvegliano i 240 chilometri della barriera recintata israeliana appena realizzata al confine con la regione egiziana del Sinai hanno rifiutato l’accesso a decine di Africani, in maggior parte provenienti dall’Eritrea, Paese da cui migliaia di persone continuano a fuggire ogni anno a causa delle persecuzioni perpetrate al suo interno. In luglio le forze israeliane hanno trattenuto in detenzione circa 40 Eritrei appena all’interno del confine israeliano per poi trasferirli con la forza sotto la custodia delle forze egiziane.

La Convenzione sullo statuto dei rifugiati del 1951, a cui Israele aderisce , il diritto consuetudinario internazionale in materia di protezione internazionale e le norme internazionali sui diritti umani richiedono a tutti gli Stati di rispettare il principio di non-refoulement, che proibisce il respingimento ed il rimpatrio di chiunque verso un Paese dove la vita o le libertà fondamentali vengano minacciate o dove vi sia il rischio di subire tortura o trattamenti inumani e degradanti. Ciò significa che chiunque richieda asilo non potrà mai essere sommariamente respinto ai confini e non potrà mai essere trasferito forzatamente a meno che la sua richiesta di protezione non sia stata confutata e valutata attraverso procedure eque e formali.

Sulla base dei dati del governo israeliano, circa i due terzi di coloro che tentano di attraversare il confine provengono dall’Eritrea, un Paese di cui Human Rights Watch ha ampiamente documentato i gravissimi e diffusi abusi perpetrati nei confronti di coloro che tentano di sottrarsi alla leva, obbligatoria e senza una durata definita, per un salario appena sufficiente a sopravvivere o che aderiscono a religioni “non riconosciute” o a movimenti di contestazione del governo in carica.

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) dichiara che lo status di rifugiato viene riconosciuto a più dell’80% degli Eritrei che chiedono asilo a livello mondiale.

Recenti interviste a persone di nazionalità eritrea che raggiungono i confini di Israele confermano che molti di coloro che seguono il percorso attraverso il Sinai subiscono serissimi abusi in quella regione, fra cui la tortura e lo stupro, per mano dei trafficanti di esseri umani che trattengono gli Eritrei per ottenere un riscatto. Coloro che pagano il riscatto sono autorizzati a continuare il cammino per raggiungere il confine israeliano.

Le tre organizzazioni di tutela dei diritti umani hanno recentemente documentato casi in cui le guardie di confine israeliane hanno bloccato Eritrei e migranti di altre nazionalità alla barriera recintata, sparando colpi di avvertimento in aria, gettando granate assordanti e gas lacrimogeni, e utilizzando lunghi pali di metallo per allontanarli dalla recinzione. In alcuni casi, i testimoni raccontano che i soldati israeliani sono entrati in territorio egiziano e li hanno trattenuti in loco con la forza fino all’arrivo delle forze egiziane, benché tuttavia le autorità israeliane ed egiziane abbiano respinto queste accuse.

In un caso alcuni Eritrei asseriscono di essere stati autorizzati dai soldati israeliani ad entrare in territorio israeliano ma di essere poi stati percossi con pugni e pistole dagli stessi soldati per costringerli a rientrare in territorio egiziano.

“Non solo vi sono credibili testimonianze che i soldati israeliani blocchino i richiedenti asilo al confine ma oltretutto che stiano anche usando la violenza a questo fine” dichiara Simpson. “Le autorità israeliane devono immediatamente ordinare alle forze che sorvegliano il confine di cessare di compiere abusi su coloro che cercano di entrare in territorio israeliano.”

Gruppi di solidarietà israeliani sostengono inoltre che negli ultimi mesi i soldati israeliani hanno impedito loro di portare assistenza a migranti eritrei che stavano attendendo da giorni lungo la barriera recintata. Reportage di mezzi di informazione israeliani raccontano che i soldati avrebbero ricevuto l’ordine di negare cibo ed acqua a coloro che tentavano di entrare in territorio israeliano e che erano, secondo la descrizione di un soldato, “magri come scheletri.”

Le autorità israeliane sostengono che i richiedenti asilo a cui si nega l’accesso nel Paese possono comunque presentare la loro richiesta di protezione alle autorità egiziane, che Israele ha il diritto di chiudere i propri confini, e che gli obblighi di natura internazionale dello Stato di Israele nei confronti dei richiedenti asilo non si estendono a coloro che vengono dissuasi / (a cui viene impedito di) dall’entrare all’interno del suo confine. Le tre organizzazioni sostengono che nessuna di queste argomentazioni si può considerare corretta secondo quanto stabilito dalla Convenzione sullo statuto dei rifugiati o dalle norme internazionali sui diritti umani.

Il Comitato Esecutivo del UNHCR – di cui lo Stato di Israele è membro – ha stabilito nella Conclusione No. 22 (1981) che, “In ogni caso il fondamentale principio del non-refoulement, che include il divieto di respingimento alla frontiera, deve essere osservato scrupolosamente.” Inoltre, attraverso la Conclusione No. 82 (1997), è stato stabilito che il principio di non-refoulement proibisce “l’espulsione ed il rimpatrio di rifugiati in qualsiasi forma…sia che lo status di rifugiato sia stato già formalmente garantito sia che ancora non lo sia stato” e riafferma ” la necessità assoluta di permettere ai rifugiati l’ingresso all’interno dei confini degli Stati, incluso il divieto di respingimento alla frontiera in assenza di una procedura equa ed effettiva che determini la fondatezza dello status e dei bisogni di protezione.”

L’UNHCR ha ribadito, in occasione del suo intervento in alcuni procedimenti legali, che “l’extraterritorialità dell’applicazione del principio di non-refoulement…concerne..ogni persona che si trovi sotto il controllo effettivo di uno Stato Parte, a prescindere dal luogo in cui si trova fisicamente”.

Riguardo alle affermazioni di Israele per cui i richiedenti asilo che le autorità allontanano dai confini possono comunque richiedere protezione in Egitto, si ricorda che il Comitato Esecutivo dell’UNHCR nella sua Conclusione No. 15 (1979) ha stabilito che “L’asilo non dovrebbe essere rifiutato sulla sola base del fatto che possa essere riconosciuto da un altro Stato”

Le linee guida dell’UNHCR sul concetto di Paese terzo sicuro affermano che mentre è legittimo da parte di uno Stato verificare se un richiedente asilo abbia già ottenuto o avrebbe potuto aver già ottenuto l’asilo in un altro Stato attraversato prima di raggiungere i suoi confini, non è affatto legittimo presumere questa possibilità ma essa andrà debitamente verificata. Le linee guida dell’ UNHCR riaffermano l’obbligo di rispettare il principio di non-refoulement anche in questo caso.

Inoltre, le stesse linee guida “scoraggiano le azioni di respingimento di richiedenti asilo intraprese unilateralmente da uno Stato senza l’accordo dello Stato che hanno attraversato precedentemente e verso cui vengono respinti, in ragione del rischio che si verifichino respingimenti a catena , o spostamenti forzati in situazioni di persecuzione, o le cosiddette situazioni di “rifugiati in orbita” e riafferma la necessità che vi sia solidarietà internazionale e condivisione del carico”

Numerose fonti affidabili affermano che le autorità egiziane hanno rifiutato all’UNHCR – unico soggetto in Egitto incaricato di registrare le richieste di asilo – l’accesso ai detenuti originari dei Paesi Sub-sahariani trattenuti per lunghi periodi nelle stazioni di polizia del Sinai. Dal 2008, Human Rights Watch ha anche documentato casi in cui le autorità egiziane hanno rimpatriato con la forza nel Paese d’origine profughi eritrei, registrati come richiedenti asilo, e aspiranti tali.

Le tre organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno anche addotto testimonianze sui diffusi abusi perpetrati nel deserto del Sinai nei confronti di migranti dell’ Africa sub-sahariana da parte di trafficanti di esseri umani contro cui le autorità egiziane non hanno intrapreso alcuna azione effettiva. Negli ultimi anni centinaia, forse migliaia di migranti africani provenienti dalle regioni del Sub-Sahara- prevalentemente dall’Eritrea e dal Sudan- sono stati trattenuti e torturati per mesi nel Sinai prima di poter entrare in territorio israeliano e poter richiedere l’asilo.

Human Rights Watch ha ripetutamente richiamato l’Egitto perché intercettasse e perseguisse i trafficanti che abusano dei richiedenti asilo, e perché permettesse all’UNHCR di avere contatti con i richiedenti asilo detenuti dalle autorità nazionali nel Sinai.

Altre organizzazioni per la difesa dei diritti dei rifugiati hanno documentato decine di casi nel 2012 in cui i trafficanti hanno rapito persone all’interno o nelle vicinanze di campi rifugiati in Etiopia e Sudan per portarle, contro la loro volontà, nel Sinai.

Anche recenti esami medici compiuti in Israele e interviste a richiedenti asilo a cui è stato permesso di entrare in territorio israeliano per ricevere cure mediche in ragione del loro evidente pessimo stato di salute, forniscono ulteriori prove del fatto che i trafficanti beduini continuano a torturare e a stuprare donne e uomini sub-sahariani nel Sinai. Un uomo racconta come i trafficanti l’abbiano segregato per tre mesi e costretto a lavorare in un campo di detenzione, dove ha sentito le urla di donne che venivano torturate e visto altri migranti africani, sequestrati per ottenere un riscatto, morire durante la prigionia. Suo fratello ha chiesto in prestito dei soldi e pagato 38.000 dollari americani per garantire la sua liberazione.

Le tre organizzazioni affermano che quando Israele ha respinto i richiedenti asilo nel Sinai senza esaminare i loro casi, ha reso concreto il rischio che l’Egitto ignorasse le loro richieste di protezione, che li rimpatriasse forzatamente in Eritrea, e che potessero subire violenze da parte dei trafficanti del Sinai contro cui le autorità egiziane si sono dimostrate finora incapaci o disinteressate ad agire.

“Sulla base di argomentazioni scorrette de iure e de facto, Israele sta respingendo forzosamente persone che stanno fuggendo da persecuzioni che si verificano nel loro Paese di origine, che hanno subito gravi abusi da parte dei trafficanti di esseri umani nel Sinai, e che rischiano in questo modo di esseri detenuti nel Sinai senza possibilità di accesso all’asilo” sostiene Simpson. “Non c’è alcun argomento che giustifichi il rifiuto di protezione di Israele ai richiedenti asilo, realizzato attraverso il respingimento alla frontiera senza la minima valutazione individuale dei casi che si presentano. Accettare queste argomentazioni significherebbe accettare il completo svuotamento della protezione internazionale dei rifugiati.”

Per ulteriori dettagli sulla posizione presa da Israele nei suoi recenti respingimenti di persone al confine con il Sinai, sugli obblighi legali internazionali e i recenti respingimenti vedere le fonti citate sotto.

Per il comunicato stampa di Human Rights Watch del giugno 2012 che richiama Israele sulla necessità di modificare la legge appena approvata che punisce i richiedenti asilo per l’ingresso irregolare nel territorio di Israele, vedi:
Israel: Amend ‘Anti-Infiltration’ Law

Per ulteriori report di Human Rights Watch su Israele, vedi:
Israel: Asylum Seekers Blocked at Border

Per ulteriori informazioni, contattare:
– A Ginevra, Gerry Simpson (Inglese, Francese, Tedesco, Italiano, Spagnolo): +33-6-83-74-56-07 (cellulare); o + 41-79-219-9568 (cellulare); o simpsog@hrw.org
– A Toronto, Bill van Esveld: +1-917-496-0836 (cellulare); o vanesvb@hrw.org
– A Washington, DC, Joe Stork (Inglese): +1-202-612-4327; or +1-202-299-4925 (cellulare); o storkj@hrw.org
– A Washington, DC, Bill Frelick (Inglese): +1-240-593-1747 (cellulare); o frelicb@hrw.org

Le quattro argomentazioni sbagliate di Israele per bloccare i richiedenti asilo
Israele ha opposto quattro argomentazioni per giustificare lo sbarramento dei suoi confini ai richiedenti asilo lungo la frontiera con l’Egitto.

1. Il controllo dell’immigrazione è una prerogativa della sovranità territoriale
– l’argomentazione degli argini

Il 6 Settembre, il Ministro dell’Interno Eli Yishai ha dichiarato alla Radio dell’Esercito Israeliano che, “Un Paese sovrano, responsabile per i propri confini, può decidere unilateralmente chi può entrare o lasciare il suo territorio” ed ha avvertito che fare eccezione per alcuni gruppi di migranti comporterebbe per Israele l’obbligo di permettere l’ingresso a molte delle “300 milioni di persone che vivono in Africa.”

Sebbene gli Stati detengano di diritto la facoltà sovrana di controllare i flussi migratori, le norme sulla protezione internazionale e quelle sui diritti umani proibiscono severamente il refoulement– ossia il respingimento e rimpatrio forzato che espongano le persone a pericoli di persecuzione, tortura, o trattamenti disumani e degradanti Le norme sulla protezione internazionale affermano che gli Stati non possono respingere o espellere coloro che sostengono di essere rifugiati, anche sulla linea del loro confine, prima di aver equamente valutato la richiesta di asilo.
Nella sua Conclusione sulla protezione internazionale No. 22 (1981), il Comitato Esecutivo del UNHCR ha stabilito che, “In ogni caso, il principio fondamentale del non-refoulement, che include il non-respingimento alla frontiera deve essere scrupolosamente rispettato.” E nella Conclusione 99 (2004), il Comitato ha richiamato gli Stati a “un pieno rispetto del principio fondamentale del non-refoulement, compreso il non respingimento alla frontiera senza aver avuto la possibilità di accedere a procedure eque ed effettive per la valutazione dello status e dei bisogni di protezione.”

2. Gli obblighi di uno Stato verso i rifugiati non vigono al di fuori del proprio territorio
– la questione dell’extraterritorialità

In un affidavit del 27 luglio consegnato ad un avvocato israeliano per i rifugiati, Anat Ben-Dor, un soldato israeliano ha dichiarato che a giugno al confine nel Sinai i suoi ufficiali superiori gli avevano riferito che bloccare l’accesso di una persona alle procedure per la richiesta di asilo è legale se questa persona viene fermata prima di entrare nel territorio israeliano. Il soldato ha detto che sulla base di questa disposizione, la sua unità è entrata nel territorio egiziano per tre volte, ha intercettato dei migranti africani che si avvicinavano alla recinzione presso il confine israeliano e li ha consegnati alla polizia di frontiera egiziana.

I funzionari egiziani hanno smentito che le forze israeliane operino in territorio egiziano. Tuttavia, il 10 agosto, l’Associated Press ha riportato che l’ufficio del portavoce dell’esercito israeliano ha dichiarato che i soldati israeliani hanno ripetutamente fermato gruppi di africani vicino al confine e li hanno trattenuti “fino all’arrivo delle forze egiziane che hanno prelevato gli infiltrati”.

Per legge, l’obbligo di un Paese a non rimpatriare sommariamente i richiedenti asilo non è limitato ai suoi confini territoriali. Il diritto internazionale in materia d’asilo non fa riferimento al luogo da cui i rifugiati vengono rimpatriati ma piuttosto al luogo verso il quale vengono rimpatriati.

La Convenzione sullo statuto dei rifugiati del 1951 proibisce esplicitamente agli Stati di rimpatriare i rifugiati “in qualsiasi modo” in Paesi dove le loro vite o la loro libertà potrebbero essere minacciate. L’UNHCR ha anche dichiarato che, “Il principio di non-refoulement non implica alcuna limitazione geografica,” che, “Gli obblighi che ne risultano si estendono a tutti gli agenti governativi che operano… all’interno o all’esterno del territorio nazionale” e conseguentemente che, “L’applicabilità extraterritoriale del principio di non-refoulement (in base alla Convenzione del 1951) è chiara.”

3. Gli obblighi verso i rifugiati non si applicano nei confronti di persone
che non sono state ufficialmente riconosciute come rifugiati

In passato, quando veniva messa in atto la cosiddetta pratica degli hot-returns, lo Stato d’Israele dichiarò che finché arrestava migranti irregolari vicino al confine e li riconsegnava all’Egitto entro alcune ore o giorni, non sarebbe stato obbligato a permettere ai migranti di presentare richiesta d’asilo in Israele. Nel 2011, l’esercito ha dichiarato presso la Corte Suprema di Israele di avere interrotto la pratica. Ma nel luglio 2012, sembra che Israele abbia riconsegnato almeno 40 persone di nazionalità Eritrea dopo meno di un’ora dal loro ingresso in Israele.

Una persona che corrisponde alla definizione di colui che “ha il timore fondato di essere perseguitato” è un rifugiato indipendentemente dal fatto di essere riconosciuto formalmente come tale. Il manuale UNHCR sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato stabilisce che il riconoscimento dello status di rifugiato è un atto dichiarativo “un soggetto non diventa un rifugiato perché riconosciuto come tale, ma è riconosciuto perché è un rifugiato.” Ed il Comitato Esecutivo dell’UNHCR, nella Conclusione 79 (1996), ha riconosciuto che il principio di non-refoulement proibisce l’espulsione ed il rimpatrio dei rifugiati “siano essi già stati formalmente riconosciuti come rifugiati o meno.”

Inoltre, la prossimità tra l’arresto e l’ora ed il luogo di ingresso sono irrilevanti rispetto all’obbligo che Israele ha di rispettare il divieto di refoulement. Nella Conclusione 6 (1977) il Comitato Esecutivo dell’UNHCR afferma “l’importanza fondamentale dell’osservanza del principio di non-refoulement – sia al confine che all’interno del territorio di uno Stato…”

Ostacolare la presentazione della richiesta di asilo o rifiutare di prenderla in considerazione non libera dunque un Paese dai suoi obblighi di proteggere i richiedenti asilo e rifugiati.

4. L’Egitto è un “Paese terzo sicuro”

In risposta ad una petizione da parte dei gruppi israeliani per i diritti dei rifugiati, presentata il 4 settembre, la procura dello Sato di Israele ha dichiarato di non avere l’obbligo di prendere in considerazione le richieste di asilo presentate da persone di nazionalità africana che giungono alla barriera sul confine israeliano perché queste potrebbero chiedere asilo “al Cairo”.

Nella sua Conclusione sulla Protezione Internazionale N. 15 (1979) il Comitato Esecutivo dell’UNHCR ha dichiarato che “Non si dovrebbe negare l’asilo soltanto perché questo potrebbe essere richiesto ad un altro Paese.”

Tra Israele e l’Egitto non esiste un accordo formale che regoli il rinvio dei migranti originari di un Paese terzo – richiedenti asilo inclusi – al confine del Sinai, e l’Egitto non si è mai impegnato nei confronti di Israele nel senso di permettere a coloro fra questi migranti che vogliano fare richiesta d’asilo di presentare la domanda.

Inoltre, l’Egitto sistematicamente non permette all’UNHCR di incontrare i migranti subsahariani detenuti nelle stazioni di polizia sparse del deserto del Sinai. Poiché in Egitto l’UNHCR è l’unico ente responsabile della registrazione delle richieste di asilo, questa prassi impedisce ai migranti che si trovino in quell’area di fare richiesta d’asilo e fa si che Israele non possa sostenere che i richiedenti asilo eritrei a cui non è stato permesso di entrare in Israele al confine del Sinai o che sono stati riconsegnati all’Egitto, ricevano un’adeguata protezione.

I rifugiati e i richiedenti asilo di nazionalità eritrea rimangono a rischio di rimpatrio forzato in Eritrea dall’Egitto. Come è avvenuto recentemente nell’ottobre 2011 quando le guardie carcerarie egiziane del carcere al-Shalal di Aswan hanno picchiato 118 detenuti eritrei – inclusi 40 rifugiati registrati – per obbligarli a firmare dei documenti per il loro rimpatrio “volontario” in Eritrea. Human Rights Watch ha documentato altri casi in cui l’Egitto ha rimpatriato in Eritrea con la forza rifugiati eritrei, richiedenti asilo registrati ed aspiranti richiedenti asilo.

Casi recenti di blocco o di espulsione di eritrei ed altri richiedenti asilo da parte di Israele

Secondo diverse fonti, in almeno sette occasioni a partire da giugno, Israele ha impedito a dozzine di migranti eritrei di richiedere asilo in Israele al confine tra Egitto ed Israele. A luglio, Israele ha anche deportato illegalmente circa 40 Eritrei in Egitto.

Respingimento – Caso n. 1
Ad Ottobre, le due organizzazioni non governative – Hotline for Migrant Workers e Physicians for Human Rights-Israele – hanno parlato con un richiedente asilo eritreo a cui le guardie israeliane di frontiera avevano permesso di entrare perché appariva in critiche condizioni di salute. Ha detto che, nonostante le guardie avessero permesso a lui ed ad un altro uomo eritreo di passare il confine, avevano impedito a quattro altri uomini e due donne eritree di entrare in Israele. Ha riferito che prima di raggiungere il confine israeliano, i trafficanti li hanno tenuti in ostaggio nel Sinai tutti e otto – insieme a molti altri africani sub-sahariani – chiedendo un riscatto, prima di portarli al confine israeliano.

L’uomo ha descritto nei dettagli gli abusi che lui e gli altri hanno subito nelle mani dei trafficanti. Ha raccontato delle urla delle donne che i trafficanti picchiavano mentre queste chiamavano al telefono i loro parenti per implorarli di pagare il riscatto ai trafficanti affinché fossero rilasciate, di come gli uomini chiusi in altre stanze hanno riferito che i corpi senza vita dei prigionieri incatenati gli uni agli altri venissero lasciati lì per giorni, e di come i trafficanti avessero forzato lui ed altri uomini a costruire stanze nel luogo dove erano tenuti prigionieri.

Le tre organizzazioni non sono state in grado di verificare se ai sei Eritrei fosse stato negato l’accesso a Israele. Tuttavia, Meron Estefanos, una giornalista e attivista eritrea che vive in Svezia, ha riferito a Human Rights Watch di aver ricevuto una telefonata il 15 ottobre dalla sorella di uno degli uomini eritrei che erano stati respinti al confine israeliano. La donna le ha raccontato di aver parlato con il fratello, il quale era detenuto in una prigione egiziana. Ha detto che durante la chiamata, un uomo che parlava arabo ha tolto il telefono al fratello e le ha detto che se la sua famiglia avesse pagato una multa suo fratello sarebbe stato rilasciato e lasciato libero di andare in Etiopia.

Respingimento – Caso n. 2
Due donne eritree ed un ragazzo di 14 anni ai quali è stato consentito di entrare a Israele e che hanno parlato con i gruppi israeliani per i diritti dei rifugiati, hanno riferito di essere stati respinti insieme a 18 uomini eritrei tra il 28 agosto e il 6 settembre dai soldati israeliani che presidiavano la recinzione al confine. Una delle donne ha raccontato che i soldati israeliani hanno sparato colpi in aria appena questi hanno raggiunto la recinzione e “per due volte hanno lanciato gas lacrimogeni contro di noi ed infilato un lungo palo di metallo nella recinzione per cercare di allontanarci.” La seconda donna ha detto che i soldati hanno lanciato lacrimogeni quando i membri del gruppo hanno tentato di oltrepassare la recinzione.

Il quotidiano israeliano Haaretz riferisce che l’11 settembre un gruppo israeliano per i diritti We Are Refugees, ha presentato un reclamo all’Alta Corte di Israele da parte delle due donne e del ragazzo, i quali hanno presentato degli affidavit dichiarando che le forze israeliane hanno fatto uso di lacrimogeni e violenza per obbligare le altre 18 persone del gruppo ad allontanarsi dalla recinzione.

I gruppi di solidarietà israeliani hanno anche affermato che i soldati hanno impedito loro di aiutare il gruppo di persone. Le due donne ed il ragazzo hanno raccontato che il 6 settembre i soldati hanno tagliato la recinzione e li hanno fatti passare dall’altra parte, ma hanno invece obbligato i 18 uomini a ritornare indietro attraverso una seconda recinzione posta sul lato egiziano del confine, dall’altro lato della quale potevano vedere i soldati egiziani.

Respingimento – Caso N. 3
In un caso simile, il 6 settembre il quotidiano israeliano Yedioth Aharonoth ha riportato che per 6 giorni ad agosto le forze israeliane hanno respinto 20 migranti eritrei e sudanesi dalla barriera del confine. L’articolo includeva il racconto di un soldato israeliano che riferiva che alla sua unità era stato ordinato di non dare cibo a quel gruppo e di usare lacrimogeni e granate stordenti per cacciarli dalla recinzione. Il giorno successivo il giornale riportava che i soldati israeliani avevano ricevuto l’ordine di non far passare i migranti oltre la barriera e di dare loro solo pane e piccole quantità di acqua.

Respingimento – Caso N. 4-6
Un affidavit di un soldato israeliano consegnato a Anat Ben-Dor, l’avvocato per i rifugiati dell’ Università di Tel Aviv, afferma che a giugno le forze israeliane hanno trattenuto al confine almeno tre gruppi di migranti africani sub-sahariani e che li hanno consegnati con la forza ai soldati egiziani senza permettere loro di richiedere asilo.

Respingimento – Caso n. 7
L’organizzazione di medici Physicians for Human Rights-Israele ha dichiarato che ad agosto le forze israeliane hanno negato l’accesso ad un gruppo di eritrei per quattro giorni. Il gruppo – non è chiaro da quante persone fosse formato – è stato obbligato a rimanere in un’area al confine nei pressi della recinzione. Un testimone anonimo ha riferito per telefono all’organizzazione che le forze egiziane controllavano il versante di loro competenza di quell’ aerea. Il 10 agosto l’ufficio del portavoce delle Forze di Difesa Israeliane ha confermato ad Haaretz che “Le Forze della Difesa Israeliana stanno operando insieme alle forze egiziane per tirar fuori gli stranieri” da quell’area. Alla fine, i militari israeliani hanno permesso agli Eritrei di passare il confine. Ora i migranti sono detenuti nella struttura di detenzione Saharonim nel deserto israeliano del Negev, vicino al confine.

Possibile respingimento – Caso N. 8
In un altro caso di possibile negato accesso illegale a Israele, il 9 settembre i gruppi israeliani per i diritti dei rifugiati hanno riferito che le forze israeliane hanno bloccato al confine 11 Africani, tra cui una donna incinta, per tre giorni. I gruppi per i diritti non hanno potuto stabilire se ad alcuni dei membri del gruppo è stato consentito l’accesso oltre il confine.

Caso illegale di deportazione
Secondo Estefanos, giornalista svedese- eritrea, il 19 luglio le forze israeliane hanno fermato e rimandato illegalmente in Egitto un gruppo di circa 40 richiedenti asilo eritrei, inclusa una donna incinta. Il 2 agosto Estefanos ha intervistato al telefono due degli uomini che sono stati rimandati in Egitto durante il loro periodo di detenzione egiziana.

Gli uomini hanno raccontato che quando il gruppo – che includeva persone che erano state picchiate dai trafficanti – hanno raggiunto il confine israeliano, dei soldati israeliani hanno detto “Benvenuti in Israele” in lingua amarica e araba. Hanno detto ad alcuni del gruppo di salire su un camion militare e hanno poi ordinato al resto di camminare lungo una strada in costruzione vicino alla recinzione dal lato del confine israeliano. Qualche istante dopo, i soldati hanno detto a quelli sul camion di scendere e ordinato a tutto il gruppo di ritornare in Egitto.

Uno di loro ha raccontato che quando si sono rifiutati, i soldati israeliani hanno contattato l’esercito egiziano via radio, e subito dopo sono arrivati quattro soldati egiziani. L’altro uomo intervistato ha ascoltato la conversazione radiofonica e ha sentito i soldati egiziani dire a quelli israeliani di spingere il gruppo giù per un ripido pendio che terminava in territorio egiziano. L’uomo ha detto “ci rifiutiamo di uscire dal camion, e allora i soldati [israeliani] ci hanno colpito con pugni e con le impugnature delle pistole e poi ci hanno spinto giù [per il pendio]. Molti di noi sono rimasti seriamente feriti [dai soldati israeliani] e gli egiziani ci hanno portato direttamente in prigione.”

Traduzione a cura di Medici per i Diritti Umani (MEDU)
info@mediciperidirittiumani.org
www.mediciperidirittiumani.org

Tipo di documento: Report