Report Oulx | Medici per i Diritti Umani

RAPPORTO DALLA FRONTIERA ALPINA
NORD-OCCIDENTALE

Gennaio - Aprile 2022

PREFAZIONE

All’inizio del 2022 Medici per i Diritti Umani (Medu) ha avviato nella cittadina di Oulx, in Alta Val di Susa, il progetto Frontiere Solidali, per fornire assistenza medica alle migliaia di persone che ogni anno attraversano la frontiera alpina nord-occidentale per raggiungere la Francia. La militarizzazione della frontiera francese e il timore dei transitanti di rimanere intrappolati a causa della difficoltà degli spostamenti continuano a causare tragedie durane l’attraversamento: due incidenti mortali sono avvenuti sulle Alpi nel solo mese di gennaio.

Nei primi quattro mesi di intervento (gennaio-aprile 2022) il team multidisciplinare di Medu ha operato quattro giorni a settimana presso un ambulatorio messo a disposizione dall’associazione Rainbow for Africa all’interno del Rifugio Fraternità Massi, gestito dalla cooperativa Talità Kum. Nei quattro mesi presi in considerazione dal presente report, si sono registrati 1814 arrivi presso il rifugio Fraternità Massi – tra cui 66 famiglie e 132 minori stranieri non accompagnati (MSNA). Sono state 1.079 le persone che hanno avuto accesso ad uno screening sanitario e ad un primo bilancio di salute presso l’ambulatorio del rifugio e di queste 320 sono state visitate in maniera più approfondita dal team di Medu.

Con il presente report Medu intende documentare, con dati, analisi e testimonianze, il fenomeno migratorio alla frontiera alpina occidentale nel primo quadrimestre del 2022 e formulare alcune raccomandazioni, chiedendo che venga garantita la tutela dei diritti fondamentali delle persone migranti e richiedenti asilo nei paesi di transito e nelle zone di frontiera.

Il contesto
1.1 Panoramica di un anno sulle Alpi: 2021
1.2 Gennaio 2022: si torna a morire di frontiera
1.3 Flussi: gennaio – aprile 2022
1.4 Provenienze e rotte

Principali criticità
2.1 Violazioni dei diritti sulla frontiera italo-francese
2.2 Altre criticità

L’intervento di Medu

Conclusioni e raccomandazioni

Il contesto

 

Panoramica di un anno sulle Alpi: 2021

Il 2021 è stato in Alta Val di Susa, al confine alpino con la Francia, un anno caotico, complesso, sempre giocato sul filo dell’emergenza. I flussi migratori sono testimoni di una pressione crescente sulla frontiera: 15.000 passaggi in accoglienza presso il rifugio “Fraternità Massi”, 10.000 persone che hanno tentato di varcare il confine, tra cui 400 famiglie e 800 minori, la metà non accompagnati. Dopo un temporaneo rallentamento nel 2020, il trend è tornato in costante crescita e nell’ottobre 2021 ha toccato il proprio apice con 1600 presenze in un solo mese, la stragrande maggioranza provenienti dalla rotta balcanica. Non solo afghani, iraniani, curdi delle diverse entità, ma anche magrebini e sub sahariani. Per tutti, l’arrivo sulle Alpi è stato preceduto da un viaggio di anni fatto di campi istituzionali e informali, soste obbligate, tentativi plurimi di varcare i confini. Questo procedere per salti, alternando pause forzate a trasferimenti sempre incerti e rischiosi, è fonte di ansie, di vessazioni, inumanità patite in ogni dove e di un dilatarsi dell’investimento economico. Le violazioni dei diritti umani fondamentali costituiscono una costante di questa Odissea, sono cicatrici scritte sui corpi e nella mente.

Rifugio "Fraternità Massi"

Nel corso del 2021 si è assistito ad una profonda riconfigurazione dello scenario in frontiera. Tre sgomberi: la casa Cantoniera di Oulx (ChezJesOulx), la vecchia dogana e la casa cantoniera di Claviere. La scelta da parte delle istituzioni di chiudere i luoghi di accoglienza informali e di attivare procedimenti penali a carico degli attori più politicizzati è coerente con quello che si ripete costantemente lungo tutta la rotta balcanica. Nonostante il degrado e la precarietà, a Podgorica, a Sonbor, a Bihac’, le persone, se possono, scelgono i posti informali (squatt, case abbandonate o addirittura la jungle[1] ) piuttosto che quelli gestiti dalle agenzie umanitarie europee o governative. Le risposte dei vari governi sembrano ripetere tutte lo stesso copione: sgomberi, confinamento delle persone in transito in campi lontani dai luoghi abitati[2], governo securitario dei flussi. Sono mesi in cui si moltiplicano le situazioni di “emergenza programmata” e prevedibile. Su un solo centro si concentrano tutti gli arrivi, ma struttura e organizzazione non sono adeguati. Ad Oulx, ripetutamente si sfiorano le 100 presenze in spazi preposti al massimo ad ospitare 45 persone. 

Il rifugio “Fraternità Massi”, a parte pochi giorni, è aperto dal tardo pomeriggio fino alle 8.30 del mattino: durante il giorno, solo la strada alberga questo composito popolo in transito. A Bussoleno, nella parte mediana della valle, viene sistematicamente utilizzato uno spazio gestito dalla Croce Rossa per alleggerire la pressione sul rifugio nelle ore notturne.
Primavera, estate e autunno vedono crescere i flussi e si evidenza una crisi dell’accoglienza che trova in ottobre il proprio apice con sovraffollamento ingestibile sui due lati della frontiera. La campagna elettorale francese si traduce in una militarizzazione della frontiera con caccia all’uomo di giorno e di notte. In mezzo a tante difficoltà, ad ottobre 2021 a Briançon apre un nuovo centro con una disponibilità di 80 posti, mentre a dicembre a Oulx la Fondazione Magnetto acquista un nuovo e funzionale immobile e lo dona a Talità Kum. Anche in questo caso il nuovo centro può mettere a disposizione spazi dignitosi per quasi 80 persone. Si tratta di investimenti privati che permettono nel caso francese di pensare a una gestione dell’accoglienza che non poggia sulle istituzioni laiche o religiose, mentre sul versante italiano continua l’operato del “Fraternità Massi” con disponibilità decisamente potenziate. L’associazione “Rainbow for Africa” predispone container e attrezzature per una presenza ambulatoriale e la Diaconia Valdese, in modo autonomo e complementare, garantisce consulenza giuridica. Di fatto, sui due versanti delle Alpi l’investimento complessivo in immobili si aggira intorno ai 2 milioni di euro e in Italia quasi 500.00 euro aggiuntivi vengono versati da parte della Prefettura, dando il via a un nuovo corso.

Anche Medici per i diritti umani (MEDU), presente in Valle dal 2004, attiva una collaborazione tecnica con il centro e con Rainbow for Africa, incentrata sulla presenza di due medici quattro volte a settimana e di mediatori linguistico-culturali che garantiscono in modo quotidiano ascolto e supporto all’iniziativa. In frontiera e alla partenza degli autobus gli attivisti della ex Casa Cantoniera continuano ad affiancare le persone in cammino. Da metà dicembre i flussi decrescono, in quanto l’inverno costringe le famiglie a soste obbligate nei Balcani. Nonostante l’andamento caotico dell’anno, fortunatamente non si verificano incidenti letali in montagna.


[1] Termine coniato per indicare il passaggio attraverso boschi montani caratterizzati da rovi presenti soprattutto tra la Bosnia e la Croazia.

[2] Centri di “accoglienza” situati in luoghi solitamente distanti dai centri abitati e finanziati dall’Unione Europea ma gestiti dai governi dei vari paesi con il supporto dell’OIM. Definiti campi di confinamento perché spesso posti lontano dai centri abitati, come è il caso ad esempio ad esempio del campo di Lipa in Bosnia, che si trova a 30 km da Bihac.

Gennaio 2022: si torna a morire di frontiera.

Nonostante il nuovo corso e il calo dei flussi, il 2022 inizia con due incidenti mortali sulle Alpi, entrambi nel mese di gennaio: Fathallah Blafhail, 32 anni di origine marocchina, annegato nella diga del Freney nei pressi di Modane e Ullah Rezwan Sheyzad, 15 anni di origine afghana, stritolato sotto le rotaie del treno.

Congiurano a questi tragici eventi la militarizzazione della frontiera francese, il timore dei transitanti di rimanere intrappolati a causa della  difficoltà degli spostamenti e delle le limitazioni della mobilità imposte alle persone non vaccinate. Queste morti ci ricordano drammaticamente che:
a) il punto critico non si situa a Oulx, ma in montagna, lungo i sentieri che portano in Francia
b) i passaggi non si arrestano con la militarizzazione.
L’unico risultato è quello di contribuire a nuove morti e che a pagare il prezzo più alto siano i più fragili e indifesi. In questo caso è toccato non a donne e bambini ma a duo giovani uomini, un marocchino e un afghano, che avevano scelto la via balcanica più ostica, quella che dalla Grecia passa per Bulgaria, Romania e Serbia, e che credevano che la loro età e prestanza fisica avrebbero permesso loro, e ancora una volta, di superare ostacoli estremi.

Flussi: gennaio – aprile 2022

Nei quattro mesi presi in considerazione dal presente report, si sono registrate in totale 3507 presenze presso il rifugio Fraternità Massi – tra cui 66 famiglie e 132 minori stranieri non accompagnati (MSNA), a fronte di 1814 arrivi e 2116 partenze. I respinti al Monginevro sono stati 669, 344 i respinti al Frejus[1].

 

gennaio

febbraio

marzo

aprile

Presenti al rifugio

694

671

1026

1116

Partenze

472

509

566

569

Minori non accompagnati

33

30

48

21

Respinti al Monginevro

168

173

182

146

Respinti al Frejus

82

82

92

88

Famiglie

13

8

24

21

Arrivi

536

381

488

409

[1] Dati raccolti ed elaborati da Rita Moschella, antropologa e ricercatrice.

La differenza fra il numero delle presenze in rifugio (3507) e gli arrivi (1814) è dovuta al fatto che spesso le famiglie o le persone più fragili o con patologie si fermano presso il rifugio più giorni. Inoltre, nel numero delle presenze rientrano anche i respinti, che quindi si trovano a sostare complessivamente più di un giorno. La differenza, pertanto, dà conto sia delle situazioni di fragilità presenti, sia dei meccanismi di repressione securitaria in frontiera. Le persone respinte dalla polizia di frontiera vengono generalmente riportate al rifugio grazie alla convenzione sancita con la Croce Rossa Italiana. I respingimenti avvengono sia al confine del Monginevro, dove le persone attraversano la frontiera perlopiù a piedi, sia alla frontiera del Frejus a cui arrivano in autobus o in treno. Dei respinti al Fréjus, fermati soprattutto a bordo dei Flix bus, molti sono persone che, anche se non residenti in Italia, pensano di avere documenti in regola per espatriare, ad esempio sono in possesso di permessi di soggiorno scaduti o in fase di rinnovo, non possiedono comprovate e/o sufficienti risorse economiche, non hanno il biglietto di ritorno, non sono in possesso dell’adeguata documentazione di ospitalità, oppure hanno il passaporto scaduto.

La stragrande maggioranza delle persone, tuttavia, viene respinta al Monginevro, dopo ore di cammino in montagna, lungo sentieri spesso pericolosi soprattutto in inverno, molto spesso di notte in condizioni climatiche avverse. Una volta fermati, identificati, respinti, vengono riaccompagnati dalla polizia o dalla Croce Rossa al rifugio da dove sono partiti, per poi ritentare di nuovo, e ancora di nuovo. Una lunga fila di persone: ragazzi, uomini adulti, donne spesso incinte, bambini, anziani.

Provenienze e rotte


La maggior parte delle persone che arrivano a Oulx ha alle spalle la rotta balcanica. Quest’anno, a gennaio e a febbraio si è registrato un leggero calo dei flussi. Ad arrivare sono state perlopiù persone in viaggio da anni, che sono rimaste intrappolate nella sequela di frontiere, con respingimenti in Croazia che ammontano a decine di tentativi. Poi a marzo e ad aprile l’affluenza ha ripreso a crescere, con una progressione dettata anche dal clima più mite. Quando parliamo di rotta balcanica non parliamo di una via ma di una pluralità di fiumi carsici che prevede diverse strategie e cammini. Per tutti il primo “game” [1] è dalla Turchia alla Grecia, poi da lì perlopiù famiglie e nuclei compositi s’indirizzano verso la Macedonia o l’Albania, indi risalgono attraverso il Kossovo o Montenegro, per poi dirigersi verso Serbia, Bosnia Croazia e Slovenia.

Un ragazzo afgano ci ha raccontato di aver attraversato a piedi il confine per raggiungere il Pakistan e poi da lì l’Iran. Da qui è arrivato in Turchia dopo 25 giorni, in parte camminando, in parte pagando un taxi. Al confine con la Grecia un passeur gli ha fatto attraversare in gommone il fiume che scorre fra le due frontiere. Lungo la rotta balcanica è stato respinto una volta al confine tra la Macedonia e la Serbia e successivamente circa venti volte tra la Bosnia e la Croazia. Ogni volta doveva tornare al campo e tentare nuovamente.

Harim ha trascorso o quattro mesi in Serbia e sette in Bosnia. Ha provato molte volte il game a piedi. Infine da Banja Luka, nella repubblica Sprska, si è nascosto con un amico in un camion arrivando fino a Bassano del Grappa.

Per altri, di solito single men, dalla Grecia la meta è Patrasso o altro porto che s’affaccia sul Mediterraneo per poi, sotto un camion, sperare nell’imbarco su un traghetto. Per altri ancora, essenzialmente uomini e molti minori, l’attraversamento tocca la Bulgaria, la Romania, la Serbia e rimane poi il tentativo di scavalcare i muri e i reticolati ungheresi o la via diretta verso l’Italia sotto un camion.

Dal 2021, con progressiva crescita, si afferma la via marittima dalla Turchia a Crotone, a Taranto o ad altro porto dell’Italia meridionale. Anche in questo caso i rischi ed i costi sono significativi. Il Mar Mediterraneo in inverno è soggetto a repentini e pericolosi cambi metereologici e il trasporto prevede l’essere stipati in condizioni di sovraffollamento sotto stiva. Una barca di 24 metri può arrivare ad ospitare più di trecento persone.

La scelta dei cammini e le soste in un campo piuttosto che un altro dipendono da molte varianti: le reti di comunicazione tra le persone, le reti del crimine organizzato, il desiderio di condividere gli sforzi con persone che appartengono alla stessa comunità linguistica (non necessariamente nazionale). 

Hussein e il suo bambino di 5 anni si sono imbarcati in Turchia diretti in Italia. Hanno pagato per un passaggio in barca 1500 euro, viaggiando stipati con più di 350 persone su un cargo di 27 metri. Il viaggio è durato 4 giorni e poiché il mare era molto agitato, hanno temuto di non farcela.

Ad Oulx, a lato delle persone provenienti da queste rotte, ne arrivano altre, seppure in numero minore che sono passate dalla Libia, attraverso il Mediterraneo centrale e dalla Spagna.

Solo a marzo sono iniziate ad arrivare le prime persone provenienti dall’Ucraina: sette tra pakistani e bengalesi, con permessi di soggiorno per studio o per lavoro. A loro un certo umanitarismo discriminante ha chiuso, come a tanti altri, le porte, sebbene anch’essi fossero in fuga dalla guerra.

Non tutti alla fine riescono a coronare il loro desiderio di vita qualificata, molti si perdono lungo il cammino, altri muoiono, molti altri per le invalidità contratte risultano inadatti a qualsiasi terra. Perlopiù quelli che arrivano a questo confine alpino sono afghani, iraniani e curdi delle diverse nazioni: rappresentano più del 60% del totale. Sono presenti famiglie con bambini, neonati, anche se non sempre accompagnati da tutti i genitori. Per molti la fuga dalla terra di origine ha significato lo sradicamento di famiglie allargate e di nuclei plurigenerazionali che lungo il cammino sono costretti a separarsi. Questo confine è un’altra dura sfida per anziani e genitori che devono portare i figli sulle spalle. Vi sono anche molti magrebini, in maggioranza uomini, che hanno scelto la via più lunga per sfuggire alle violenze libiche e al Mediterraneo. Le persone di origine africana sono variegate dal punto di vista delle nazioni di origine. Alcuni sono di area sub sahariana, altri della parte orientale del continente, qualcuno del Corno d’Africa. Molto ridotto è il numero di donne che scappano dalla tratta o che con questa hanno condiviso una pericolosa vicinanza: solo due i casi rilevati.

[1] Il termine “game” è stato coniato dalle persone in transito per indicare i continui respingimenti alle frontiere “E’ come un video game: vinci se riesci a passare, altrimenti torni indietro e riprovi” spiega al team MEDU una bambina di 10 anni.

PRINCIPALI CRITICITÀ

 

Violazioni dei diritti sulla frontiera italo-francese


A livello europeo, il diritto alla circolazione è sancito dal Codice frontiere Schengen (CFS), in particolare nel suo articolo 22: "Le frontiere interne possono essere attraversate in qualsiasi luogo senza che siano effettuati controlli di frontiera sulle persone, qualunque sia la loro nazionalità”. Il trattato di Schengen fin dal 1990 ha come obiettivo quello di garantire la libera circolazione tra i paesi interni che vi aderiscono. Il ripristino dei controlli alle frontiere interne è consentito solo in circostanze eccezionali e, ad ogni modo, per una durata inferiore ai 2 anni. In Francia i controlli persistono da quasi sette anni. A partire dal 2015, in occasione della COP21, le autorità francesi hanno ripristinato i controlli alle frontiere giustificandone poi l’estensione per la lotta al terrorismo e infine per questioni legate alla pandemia. Ad ogni modo, i controlli alle frontiere interne sono rivolti alle persone in migrazione più che alla lotta al terrorismo.

Come emerge dai dati relativi ai passaggi e ai respingimenti sul confine, è evidente che i refus d’entrée (respingimenti) da parte della Francia avvengano in maniera sistematica, nonostante la non ammissibilità sia prevista solo nel caso in cui la persona non soddisfi le condizioni per l'ingresso nel territorio Schengen e/o francese. Solo in questo caso può essere notificato un refus d’entrée, fatta comunque eccezione per il caso in cui la persona chieda asilo alla Francia.

Pertanto, qualsiasi rifiuto di ingresso di una persona richiedente asilo costituisce una violazione al diritto di asilo e di libera circolazione. Queste violazioni invece vengono commesse senza distinzione alcuna, al punto che, negli ultimi mesi, a seguito del conflitto in Ucraina, sono stati respinti dalla Francia anche alcuni stranieri che soggiornavano nel Paese con un regolare visto di studio. Per quanto riguarda invece i minorenni, poiché l'obbligo di possedere un visto è richiesto solo per "qualsiasi straniero di età superiore ai diciotto anni che desideri soggiornare in Francia per un periodo superiore a tre mesi" (art. L. 312-5 del Code de l’Entrée et du Séjour des Étrangers et du Droit de Asile - CESEDA), nessuno di loro può essere considerato "irregolare" e la polizia di frontiera francese dovrebbe garantire loro protezione e tutela. Anche in questo caso però le violazioni sono molto frequenti e, se trovati lungo i sentieri, anche i minori non accompagnati vengono respinti, esattamente come gli adulti. Se si presentano direttamente in frontiera, la PAF (Police aux frontieres) non sempre raccoglie le loro dichiarazioni di minore età e si limita a rimandarli indietro.

Il team ha raccolto diverse testimonianze di respingimenti in cui, in assenza di documenti identificativi, non è stata presa in considerazione la dichiarazione di minore età espressa dal minore e sul refus d’entrée è stata apposta una diversa data di nascita che lo identificava come maggiorenne.

Infine, in caso di respingimento, la polizia di frontiera procede con la reclusione delle persone fermate all’interno di container al fine di vigilarle ed effettuare i controlli necessari, in attesa dell’arrivo della Croce Rossa e del successivo trasferimento ad Oulx. In Francia esistono due tipologie di luoghi ufficiali dedicati alla detenzione degli stranieri: le zone d'attesa e i centri di detenzione amministrativa (CRA), regolamentati dalla normativa europea e dal CESEDA. I locali di custodia situati a Monginevro o al Frejus non appartengono a nessuna delle tipologie citate, pertanto non vi è alcuna base giuridica del trattenimento delle persone migranti in questi luoghi e nessuna garanzia del rispetto dei diritti delle persone recluse.

Altre criticità

La presenza di numerose famiglie, di neonati, di persone anziane, di minori non accompagnati e di uomini e donne vulnerati nel corpo e nella mente rappresenta un ulteriore elemento di criticità (oltre che di offesa umanità), soprattutto se si pensa che il loro unico e inderogabile obiettivo è quello di attraversare il confine. I venticinque-trenta chilometri di montagna in inverno, ma anche in mesi meno ostici dal punto di vista climatico, sono una prova che comporta il rischio di perdersi, di ipotermie, di fratture e infine, di perdere la vita. L’alto numero di componenti dei nuclei familiari diviene un ostacolo alla mobilità e si traduce in più facili respingimenti. Spesso, come già documentato nei precedenti report, sono gli adolescenti che debbono svolgere il ruolo di capo famiglia e di interfaccia con il mondo esterno. Non sono poi mancati casi di bambini che hanno subito incidenti o sono rimasti traumatizzati per le violenze subite.

Difficilmente potremo dimenticare la bimba di tre anni iraniana: giocava con una di noi legandole le mani, prima davanti, poi dietro e nel mentre spiegava “Vedi? Sei in prigione?”. Usava sia il termine inglese “prison” che “cage”, spegneva la luce della stanza, diceva di stare sdraiata immobile perché altrimenti sarebbero arrivati i cani. Poi iniziava un conto alla rovescia: 10, 9, 8, 7….

Tra i minori vi sono poi casi di violenza sessuale sofferta: non è facile documentarla, ma sulla base di testimonianze raccolte in Bosnia e Serbia sembra sia un fenomeno ricorrente. La presenza di donne incinta è una costante, nel solo mese di aprile ne sono arrivate sei e diverse altre con altri figli da accudire. Nonostante la gravidanza, non v’è impedimento che induca a desistere dalle partenze. Tuttavia, mantenere uno spazio medico di ascolto femminile permette di compiere diagnosi, limitare i rischi, ricorrere a terapie temporanee ma utili per affrontare il cammino in montagna.

Molte persone arrivano con lesioni, fratture, dolori muscolo-articolari, bruciature, amputazioni, ematomi agli arti. In alcuni casi le patologie sono dovute al cammino prolungato nella jungle. Per molti il degrado esistenziale, le condizioni di promiscuità e mancanza di igiene comportano anche parassitosi, infezioni alla pelle e scabbia.

La maggioranza delle persone porta con sé memorie di trattamenti inumani e degradanti e di fatiche estenuanti incise sui corpi. In molti denunciano con pudore e rabbia le violenze subite: il taglio delle dita in Afghanistan, la perdita di una mano, fratture non ricomposte per le percosse in Turchia, dolori al busto per i maltrattamenti in Bielorussia, difficoltà nella deambulazione per la violenza della polizia croata, piaghe, cicatrici e ustioni per gli abusi in Libia. Si tratta di casi documentati nei primi mesi del 2022 e di cui, per ovvi motivi, si mantiene l’anonimato nel presente report.

I casi di abuso di psicofarmaci, stupefacenti ed alcool vengono riportati con preoccupante frequenza.

Ahmed, un ragazzo iraniano, racconta che da qualche anno è entrata in circolazione in Turchia una nuova droga simile alla cocaina e dice di verne fatto più volte uso. Nawal, che abbiamo incontrato in Bosnia, dice che in questi anni è molto diffusa anche l’eroina all’interno dei campi.

Per diversi padri di famiglia è origine di sofferenza, a volte di sentimenti di resa, il non aver potuto proteggere i propri cari dalle percosse e dalle umiliazioni. Per gli uomini e le donne in cammino la depressione e lo sconforto sono patologie e sentimenti ricorrenti.

Questo popolo in movimento, privato dei diritti che spettano a tutti gli umani e dimenticato dall’ “umanitarismo” dei governi e della UE, non è composto da pericolosi terroristi, ma da un’umanità fragile e vulnerata. La militarizzazione della frontiera francese, inutile dal punto di vista del contenimento dei flussi, risulta però coerente con la logica di vessazioni iterate dalle polizie dei diversi governi. 

Su queste persone continua ad aleggiare l’incubo di essere destinatarie di Provvedimenti Dublino ed i respingimenti divengono prassi che evade gli obblighi internazionali sull’asilo. Anche per i minori non accompagnati che scelgono la via della montagna, come si è detto, il respingimento è sempre più una consuetudine. La caccia all’uomo sul confine alpino non è priva di conseguenze: per i più deboli si tratta di un altro calvario e, per altri, i più intraprendenti, è causa di smarrimento, ipotermie, fratture, e, nel peggiore dei casi, di morte. Le dinamiche che hanno portato al decesso di Fahtallah e di Ullah risultano ancora poco chiare. Da testimonianze di amici di Fahtallah raccolte da Medu, ritorna lo spettro della drammatica vicenda di Blessing, morta per annegamento nel fiume Durance nel 2018, a seguito di inseguimento da parte della polizia francese. Le testimonianze raccolte appaiono in questo senso coerenti.
Dopo un sopralluogo alla diga del Freney, Medu ha appurato che è effettivamente presente una barriera di metallo che separa la strada dal piano inclinato che scende fino all’acqua e questo, nel mese di gennaio, è ghiacciato.

Nei giorni recenti è stata pubblicata una controinchiesta sulla morte di Blessing che, oltre a ricordare che sulla frontiera italo-francese sono morti dal 2015 ben 46 persone, mette in evidenza le contraddizioni delle dichiarazioni rese dalle forze dell’ordine francesi e riprende l’ipotesi, suffragata da testi.

Le indagini della magistratura francese sulla morte di Fahtallah sono ancora in corso e di certo non si può andare oltre le inquietanti coincidenze. Di sicuro è possibile dire che si torna a morire di frontiera.

L'INTERVENTO DI MEDU


 

MEDU ha avviato un intervento sanitario a Oulx a partire da gennaio 2022 con il progetto Frontiere Solidali garantendo un presidio medico quattro giorni a settimana all’interno del Rifugio Fraternità Massi. Inserendosi in una rete di diversi attori presenti sul territorio, MEDU collabora con Talità Kum (la cooperativa incaricata della gestione del rifugio), Rainbow for Africa, responsabile sanitario, Diaconia Valdese che offre supporto legale e presa in carico dei richiedenti asilo e NutriAid che effettua il bilancio di salute dei bambini in età pediatrica. Il team del progetto Frontiere Solidali è composto da una coordinatrice di progetto, medici, mediatori culturali, antropologi, esperti legali e ricercatori. Questo team multidisciplinare permette di promuovere e mettere in pratica un approccio olistico in cui la salute e la cura dell’individuo passano anche attraverso l’ascolto e l’attenzione, favorendo la creazione di un posto sicuro in cui dopo tanto tempo le persone possano sentirsi a proprio agio.

A partire da gennaio i medici e i mediatori culturali hanno effettuato screening sanitario e primo bilancio di salute a 1.079 persone e di queste 320 sono state visitate in maniera più approfondita. Da inizio progetto le patologie più frequentemente riscontrate sono state infezioni cutanee, dolori muscolo-scheletrici dovuti al cammino prolungato e ai traumi subiti, cefalee, insonnia e scabbia. Nel periodo estivo, e con l’aumento delle temperature, si è registrato un incremento dei casi di scabbia e infezioni cutanee, così come di allergie stagionali. Il periodo invernale è stato invece caratterizzato da lesioni da freddo, ipotermie, congelamento degli arti inferiori e superiori e sintomi influenzali.

Attraverso l’attività di cura sono emersi spesso i segni delle violenze subite nei paesi d’origine e durante il viaggio, eventi che lasciano tracce indelebili sulla persona sia dal punto di vista fisico che psicologico. I segni di violenza più frequentemente documentati sono stati: esiti di fratture, lesioni da bruciature, ferite da taglio e amputazioni, che oltre al danno psicologico determinano deficit della mobilità o dolori che affliggono la vita di queste persone e costituiscono un’ulteriore barriera nell’attraversamento delle frontiere.

Durante la visita medica Abdul ci ha mostrato delle cicatrici sulla testa, nascoste dai capelli. Erano dovute alle percosse inflittegli dai talebani. Un giorno, mentre era con degli amici in un parco, sono arrivati e lo hanno colpito con mazze di ferro. Dice che questo episodio è stato determinante nella sua scelta di lasciare il paese

Il mancato accesso alle cure durante il viaggio è evidente dal cronicizzarsi e aggravarsi di alcune patologie anche banali che, se non trattate, nel lungo periodo arrivano a raggiungere livelli critici per la persona.

I medici presenti al rifugio hanno garantito ascolto, presa in carico e cure ai pazienti che, in numero crescente, si sono presentati in ambulatorio. In tutti i casi è stato possibile somministrare terapie farmacologiche adeguate, in alcuni casi si è provveduto all’indirizzamento a servizi territoriali per esami di laboratorio e approfondimenti diagnostici, mentre per i casi più gravi si è resa necessaria l’ospedalizzazione. Il personale medico, con il sostegno dei mediatori culturali, si è occupato quotidianamente anche di supportare e agevolare l’accesso alle cure all’interno del sistema sanitario nazionale. Le donne incinte hanno ricevuto attenzione ginecologica e monitoraggio dello stato di gravidanza.

Ali è rimasto intrappolato nella neve per quasi due giorni lungo i sentieri nella Jungle, in Serbia: la neve gli arrivava quasi alle ginocchia, provava dolore e non sentiva più le mani e i piedi. Quando è arrivato a Oulx dopo un breve ricovero in ospedale, è stato costretto a fermarsi alcune settimane per ricevere le cure necessarie ed evitare l’amputazione delle dita dei piedi

Le visite hanno anche permesso di documentare i segni delle violenze subite e di predisporre azioni di advocacy. Anche per i traumi psichici, l’ascolto ha perlopiù permesso il contenimento delle sofferenze.

Per definire le più appropriate modalità di intervento a Oulx e strutturare in maniera adeguata il supporto sanitario è fondamentale l’attività di raccolta di memorie e testimonianze delle persone in transito. Coloro che si sentono a proprio agio nel condividere con i membri del team le esperienze che hanno vissuto, trovano uno spazio d’ascolto sicuro in cui viene garantita massima riservatezza e privacy. Le testimonianze raccolte hanno permesso di ricostruire le rotte e i passaggi più utilizzati e allo stesso tempo di identificare le necessità e priorità delle persone. La consapevolezza e conoscenza delle rotte sono necessarie per comprendere le dinamiche migratorie ed essere più efficaci nell’intervento stesso. Questo ha spinto il team di progetto e vari altri esperti ad esplorare in prima persona i tragitti più rappresentativi della rotta balcanica, per poter valutare il contesto e confrontarsi con altri attori attivi in diverse frontiere, per rafforzare il network e mettere a confronto le diverse modalità d’intervento. Memorie e testimonianze sono inoltre fondamentali per promuovere il lavoro di advocacy e sensibilizzazione a livello locale e istituzionale.

CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

Nel periodo preso in considerazione il flusso di persone in arrivo a Oulx ha subito una lieve diminuzione nei primi mesi dell’anno per poi raddoppiare a inizio primavera.

Il flusso è composto da persone provenienti principalmente dalla rotta balcanica, a seguire da quella del Mediterraneo Centrale. Nel mese di aprile sono giunti al rifugio anche numerosi minori non accompagnati e numerose famiglie che hanno percorso la rotta marittima dalla Turchia alla Calabria. Dal 2021 ad oggi si registra costantemente una significativa presenza di persone appartenenti alle categorie vulnerabili, in particolare famiglie, neonati, persone anziane, minori non accompagnati e di uomini e donne singole.

Molte sono le persone ascoltate e assistite che riportavano sul proprio corpo i segni delle violenze subite durante il viaggio e nel paese d’origine.

Il numero di respingimenti al confine francese resta alto, nonostante la normativa comunitaria garantisca il diritto di chiedere asilo, indipendentemente da precedenti identificazioni in altri paesi europei, e solo successivamente è prevista l’attivazione della procedura Dublino per la determinazione dello Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale.

La militarizzazione della frontiera induce spesso le persone a scegliere di percorrere pericolosi sentieri montani in alta quota. Nel solo mese di gennaio, l’attraversamento è costato la vita a due persone: Fathallah Blafhail, 32 anni di origine marocchina e Ullah Rezwan Sheyzad, 15 anni di origine afghana.

MEDU prevede di rafforzare l’intervento di cura e testimonianza, garantendo una presenza costante presso il rifugio di Oulx “Fraternità Massi” e un attento monitoraggio della frontiera italo-francese e del rispetto dei diritti umani delle persone in cammino.

A fronte del quadro descritto, Medu torna a formulare alcune raccomandazioni, chiedendo con forza che venga garantita la tutela dei diritti fondamentali – che esistono per ogni essere umano a prescindere da una particolare collocazione sociale, culturale, religiosa o territoriale - di tutte le persone migranti e richiedenti asilo nei paesi di transito e in particolare nelle zone di frontiera, a prescindere dalla loro condizione giuridica. In particolare, Medu chiede che:

  • Vengano rispettati i diritti fondamentali dei migranti e richiedenti asilo e gli obblighi in materia di protezione internazionale e di non respingimento al confine;

  • Venga ripristinata la libertà di circolazione all’interno dello spazio Schengen in ottemperanza alla normativa del Codice frontiere Schengen (CFS) che prevede una sospensione per un massimo di due anni e solo in casi eccezionali.
  • Vengano fornite assistenza sanitaria e orientamento legale presso le zone di attesa in frontiera interessate dal transito di migranti e richiedenti asilo (nel caso specifico, Monginevro o Frejus), come previsto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

 

 

  • Venga garantita ai minori non accompagnati la possibilità di accedere alla tutela speciale prevista dal Code de l’Entrée et du Séjour des Étrangers et du Droit de Asile (CESEDA) in base al quale il minore (anche quando si presenta in frontiera) non necessita di documenti che provino la sua età ma è sufficiente la sua dichiarazione per essere accolto;
  • Venga data continuità e diffusione a modelli di intervento che permettono di garantire la tutela dei diritti fondamentali nelle zone di frontiera, fornire orientamento legale in materia di immigrazione e asilo, informare sui pericoli dell’attraversamento e offrire assistenza sanitaria e supporto immediato alle persone in transito, tra cui molte appartenenti a categorie vulnerabili.