Web Report Oulx 2023 | Medici per i Diritti Umani

L'ultima frontiera

Rapporto Luglio 2022 - Marzo 2023

Introduzione


Dall’inizio del 2022 Medici per i Diritti Umani (MEDU) è presente nella cittadina di Oulx, in alta Val di Susa, con il progetto Frontiera Solidale. Il progetto ha l‘obiettivo di garantire assistenza medica alle migliaia di persone che attraversano la frontiera alpina nord-occidentale per raggiungere la Francia. Il team di Medu, composto da una coordinatrice, un medico, un mediatore culturale e alcuni volontari/e, opera tre giorni a settimana presso l’ambulatorio allestito e messo a disposizione dall’associazione Rainbow for Africa all’interno del rifugio Fraternità Massi.

Nei nove mesi presi in considerazione dal report (luglio 2022 - marzo 2023), 8.928 persone sono transitate al rifugio Fraternità Massi. Di queste 4.193 persone hanno avuto accesso a un triage presso l’ambulatorio del rifugio – allestito e messo a disposizione dall’associazione Rainbow for Africa e 1.214 sono state visitate in modo approfondito dal team di MEDU.

Con il presente report MEDU torna a documentare con dati, analisi e testimonianze, il fenomeno migratorio alla frontiera alpina occidentale e a formulare raccomandazioni, chiedendo che venga garantita la tutela dei dritti fondamentali – in particolare il diritto alla salute e l’accesso alla protezione - delle persone migranti e richiedenti asilo nei paesi di transito e in particolare nelle zone di frontiera, a prescindere dalla loro condizione giuridica.




Le autrici:
Elda Goci e Federica Tarenghi

Per informazioni:
Medici per i Diritti Umani ETS
comunicazione@mediciperidirittiumani.org
www.mediciperidirittiumani.org

Il contesto

 

La frontiera


“Per molti è sinonimo di impazienza, per altri di terrore. Per altri ancora coincide con gli argini di un fortino che si vuole difendere. Tutti la mettono in cima alle altre parole, come se queste esistessero unicamente per sorreggere le frasi che delineano le sue fattezze. La frontiera corre sempre nel mezzo. Di qua c'è il mondo di prima. Di là c'è quello che deve ancora venire, e che forse non arriverà mai.”[1]

Oulx contesto medu

Rosalie lascia casa sua a soli 14 anni con l’aiuto della madre che le consegna i suoi pochi risparmi per permetterle di allontanarsi dalla sua famiglia. Se ne va perché il padre, che non ha mai vissuto con loro, ha deciso che è giunta l’ora per lei di sposarsi. Costretta a scappare, Rosalie si rifugia prima da sua nonna ma, trovata dal padre, deve continuare ad allontanarsi. Inizia così il suo lunghissimo viaggio che la vede attraversare il Burkina Faso, il Mali, l’Algeria e la Tunisia. È proprio qui che Rosalie subisce terribili violenze, fisiche e sessuali, tanto che al suo arrivo in Italia scopre di essere rimasta incinta a seguito dello stupro. Testimonianze simili sono state riportate da diverse donne che hanno attraversato questi paesi.

“Non vedo l’ora di potermi iscrivere a scuola, iniziare una vita normale come tutte le ragazzine della mia età”.

È questo il desiderio più grande di Rosalie, una ragazza minorenne della Costa d’Avorio, arrivata al rifugio un pomeriggio di febbraio, sola e spaventata. Ha trascorso le ultime settimane in un CAS di Palermo dove è stata accolta subito dopo essere sbarcata a Lampedusa a conclusione di un viaggio estenuante. Quando il team di MEDU la incontra, anche se molto spaventata, è decisa a proseguire. Vuole arrivare in Francia dove sogna di tornare a studiare e a vivere come una sedicenne ha il diritto di fare.

Come per Rosalie, per molte altre persone, Oulx rappresenta una delle ultime tappe di un lungo viaggio, che può durare in molti casi dai 2 ai 6 anni.[2] Un viaggio che collega l’Afghanistan, la Siria, l’Iran e molti paesi africani con i paesi del nord Europa e dell’Europa centrale. Per chi arriva a Oulx, un paese di 3000 abitanti in Val di Susa, a 90 chilometri da Torino e a 20 dalla Francia, l’obiettivo è quello di proseguire il viaggio verso il Nord Europa attraversando i valichi alpini del Colle del Monginevro, a 1860 metri slm, o del Colle della Scala, a 1762 mslm, oppure il tunnel del Frejus.
Rosalie è una delle 104.484 persone che nel corso del 2022 sono arrivate in Italia attraverso la rotta mediterranea, spesso a seguito di “sbarchi spontanei”. Di queste, 24.684 sono state respinte in Libia dopo essere state intercettate dalla Guardia costiera libica mentre 1.377 hanno perso la vita o risultano disperse.[3] La rotta dei Balcani occidentali, invece, è stata attraversata da circa 145.600 persone, entrate poi in Italia. Siriani, afgani e tunisini insieme hanno rappresentato il 47% di questo flusso.[4]




[1] Alessandro Leogrande, La frontiera, Feltrinelli, Milano, p. 296 [2] Vi sono però, in certi periodi dell’anno, dei passaggi molto veloci sulla rotta balcanica. Il team di MEDU ha incrociato persone che sono riuscite ad attraversare la rotta in pochi mesi, a volta settimane.
[3] Civil MRCC (Coordination and documentation platform for people in distress in the Central Mediterranean) - ECHOES Issue 4, gennaio 2023: STRUGGLES ALONG THE TUNISIAN ROUTE.
[4] https://missingmigrants.iom.int/region/mediterranean

Alcuni numeri

In questo report si intendono analizzare i nove mesi compresi tra luglio 2022 e marzo 2023, esponendo i risultati del monitoraggio realizzato da MEDU ed altri partner che lavorano alla frontiera dell’Alta Val di Susa, ed in particolare al centro Fraternità Massi di Oulx (TO). I dati numerici sono stati raccolti da Rainbow4Africa. La panoramica sulle condizioni fisiche e psicologiche dei transitanti è stata invece redatta a partire dai dati qualitativi raccolti dal team sanitario di MEDU.

In questo periodo si è monitorato il passaggio di 8.928 persone al rifugio “Fraternità Massi”, sommando le presenze giornaliere si arriva a 10.075.[5] Alcune persone, infatti, si fermano per più di una notte, per motivi di salute o per riposarsi dopo un lunghissimo viaggio.

Di queste, 633 erano donne, ovvero il 7% della popolazione transitante, mentre 1.017 erano minori, rappresentando il 12% della popolazione.

Nel corso degli ultimi mesi si è assistito ad un aumento significativo del numero dei migranti provenienti dalla rotta del Mediterraneo centro-meridionale con imbarco dalla Tunisia, che sempre più si configura come un Paese sia di emigrazione che di transito. Questa nuova rotta, infatti, risulta attraversata sia da persone che evitano il passaggio dalla Libia che da migranti nati o residenti in Tunisia da diversi anni e che decidono di lasciare il Paese a causa del deterioramento delle condizioni economiche e di sicurezza.

L’aumento delle imbarcazioni in partenza ha significato anche un aumento del numero di naufraghi e dispersi in prossimità delle coste tunisine. Secondo i dati del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES)[6], nel corso del 2022, più di 600 persone sono morte su questa sponda, senza contare le imbarcazioni “invisibili”, scomparse senza lasciare traccia.

Si potrebbe pensare che la Tunisia sia una buona soluzione per sfuggire alle atrocità della Libia, ma le testimonianze raccolte dal team negli ultimi mesi danno evidenza di violenze e abusi ricorrenti, spesso non molto diversi da quelli perpetrati in Libia.[7]


[6] February 2023 report on migration and social movements - FTDES https://ftdes.net/statistiques-migration-2022/
[7] https://ftdes.net/la-tunisie-nest-ni-un-pays-dorigine-sur-ni-un-lieu-sur-pour-les-personnes-secourues-en-mer/

Flussi e rotte


grafico flusso migratorio oulx
FIGURA 1: Principali nazionalità dei migranti che transitano ad Oulx tra luglio 2022 e marzo 2023. Notare come le principali nazionalità siano rappresentate da persone provenienti dalla rotta balcanica (Afghanistan, Marocco e Iran). Questo trend è in cambiamento negli ultimi mesi, a partire da dicembre 2022, con l’incremento degli arrivi dalla rotta del Mediterraneo centrale. Dati raccolti da Rainbow for Africa.

Fino al 2019, il flusso migratorio delle persone che transitavano a Oulx era composto principalmente da giovani uomini provenienti dall’Africa sub-sahariana.

A partire dal 2020 aumentano gli arrivi di persone provenienti dalla rotta Balcanica, tra queste numerose donne e bambini. Si tratta di un nuovo flusso, composto principalmente da afghani, iraniani e curdi. Il trend si conferma anche nel 2022, quando, come evidenziato dal grafico, le principali nazionalità sono rappresentate da Afghanistan, Marocco e Iran [8] Ad inizio 2023 si assiste ad alcuni significativi cambiamenti. Se nel corso del 2022, l’Afghanistan e l’Iran sono stati rispettivamente il primo e il secondo paese per numero di migranti transitati ad Oulx anche a fronte di un aumento degli arrivi dal Mediterraneo centrale, nei primi mesi del 2023 si assiste ad un drastico calo numerico (FIGURA 2).[9] Allo stesso tempo risulta in costante aumento il numero di persone in arrivo dall’Africa centrale e occidentale mentre rimane costante quello dei migranti provenienti dal Marocco. Tra questi ultimi troviamo sia persone appena arrivate in Italia attraverso la rotta balcanica[10], sia persone che sono in Europa da diversi anni. Si tratta di sans papier che dopo aver visto respinta la domanda di protezione internazionale, sono rimasti nel limbo dell’irregolarità, costretti a viaggiare da un paese all’altro alla ricerca di un lavoro in nero e di un modo per sopravvivere.


[8]Qui una raccolta dei report precedenti di MEDU: https://mediciperidirittiumani.org/doc/report/

[9] Oltre a un fattore meteorologico che ha rallentato il cammino di molte persone, bloccandole tra le montagne dell’Iran e della Turchia, il calo del numero di afgani alla frontiera alpina è dovuto al fatto che molti di essi tentano di lasciare l’Italia attraverso la frontiera di Chiasso.

[10] I cittadini marocchini possono entrare in Turchia senza bisogno di visto per un periodo di 90 giorni. Molti migranti, una volta arrivati in Turchia, decidono di proseguire per la rotta balcanica con l’intenzione di raggiungere l’Europa.

FLUSSI RACCOLTI DA MEDU OULX
FIGURA 2: Variazione della composizione dei flussi in transito fra i primi 5 mesi analizzati e i successivi 4. Dati raccolti da Rainbow for Africa ed elaborati dal team di MEDU.

L’INTERVENTO DI MEDU


Il progetto “Frontiera Solidale” e il rifugio “Fraternità Massi”

Il rifugio “Fraternità Massi” è gestito in maniera coordinata da un pool di professionisti e volontari, ognuno con compiti specifici assegnati in base all’esperienza, alle competenze alle finalità dell’organizzazione di appartenenza.

Se da un lato la pluralità degli attori in campo rende complessa l’interazione e il coordinamento, dall’altro la presenza di numerose realtà organizzate e volontari permette di offrire un supporto continuativo, capace di rispondere a bisogni ed esigenze molteplici, offrendo prossimità umana, un ambiente accogliente e un’assistenza olistica.

rifugio massi medu

All’interno del rifugio operano:

  • la Fondazione Talità Kum: ente gestore dell’immobile, che mette a disposizione due operatori responsabili dell’accoglienza delle persone migranti e del soddisfacimento dei loro bisogni primari. Essi operano 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in due turni di lavoro, per un totale di 10 professionisti;
  • l’associazione Rainbow for Africa (R4A): mette a disposizione le infrastrutture e le attrezzature sanitarie, i farmaci, il personale formato da infermieri specializzati (ogni notte e per tutto l’anno) e la presenza di medici volontari;
  • l’associazione Medici per i diritti umani (MEDU), che fornisce assistenza sanitaria garantendo la presenza di un medico, di una coordinatrice e di un mediatore linguistico - culturale; In particolare, il medico si occupa sia di fornire assistenza sanitaria ai pazienti che di coordinare le attività sanitarie svolte dalle organizzazioni e dai medici volontari presenti presso il rifugio;
  • diaconia valdese: offre orientamento legale garantendo la presenza di un’operatrice legale;
  • l’organizzazione umanitaria NutriAid: mette a disposizione la consulenza di pediatri, farmaci e un ambulatorio pediatrico;
  • una rete di volontariato che si occupa di raccogliere abiti, soprattutto invernali, da mettere a disposizione delle persone migranti, nonché di orientare quest’ultime ai servizi locali e fornire un ascolto diretto a coglierne le esigenze e i bisogni singoli e collettivi. Infine, si occupa di sensibilizzare le persone migranti sui rischi legati alla montagna, soprattutto nei mesi invernali.

Per ciò che attiene alle strutture accoglienti, oltre alla realtà del rifugio Massi occorre menzionare il rifugio autogestito Yallah, occupato nel giugno 2022 e situato a Cesana, tra Oulx e Claviere

ll comitato della Croce Rossa Italiana (CRI) di Susa ha invece messo a disposizione il polo logistico di Bussoleno, dove possono trovare assistenza le persone che hanno bisogno di sostare più a lungo in Val di Susa per ragioni mediche, oppure quelle che hanno deciso di presentare domanda di protezione internazionale in Italia. Nel secondo caso in particolare, si tratta di persone vulnerabili che, nella maggior parte dei casi, non riescono da accedere ai CAS e SAI a causa della difficoltà di presentare domanda di asilo presso la Questura di Torino, in virtù della complessità della procedura e delle tempistiche estenuanti. Ogni giorno, decine e decine di persone si presentano presso l’Ufficio Immigrazione della Questura solo per ottenere un appuntamento per formalizzare la domanda di asilo. Nell’attesa, non essendo formalizzata la loro richiesta di asilo, non possono avere accesso al sistema nazionale di accoglienza. Paradossalmente quindi, le persone che vengono ospitate presso il Polo di Bussoleno risultano essere le “poche fortunate” all’interno di un sistema che rende impossibile esercitare un diritto fondamentale come quello di chiedere asilo.

Nonostante gli sforzi e la proficua collaborazione con la Croce Rossa, è necessario rimarcare come il polo logistico non possa rappresentare un luogo dove le vulnerabilità dei richiedenti asilo possono essere prese in carico in modo adeguato e personalizzato, come previsto dalle normative nazionali e internazionali, le quali stabiliscono la predisposizione di programmi e strutture ad hoc.

rifugio massi medu oulx

Tra le molte attività che si svolgono presso il rifugio, negli ultimi mesi ha preso piede una collaborazione con IRES – Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte. Si tratta di un ente di ricerca che svolge la sua attività d’indagine in campo socio-economico e territoriale, fornendo un supporto all’azione di programmazione della Regione Piemonte e delle altre istituzioni ed enti locali piemontesi. Con il progetto “Anello Forte”, IRES si è posto l’obiettivo di monitorare la frontiera nord-occidentale cercando di individuare indicatori di tratta con riferimento alle donne che la attraversano. Nei primi mesi del 2023 si è registrato un crescente passaggio di donne provenienti dall’Africa sub-sahariana, soprattutto dalla Costa d’Avorio. Per approfondire la comprensione di questo fenomeno e indagare sui rischi di tratta che possono nascondersi dietro numeri in allarmante crescita, è in corso uno studio di  IRES Piemonte per la realizzazione di un’azione di monitoraggio alla frontiera franco-piemontese. Con l’aumento considerevole delle donne transitanti cresce anche il timore dell’esistenza di una rete di sfruttamento. L’individuazione precoce delle situazioni di tratta o di vulnerabilità alla tratta e allo sfruttamento è essenziale per garantire il rispetto dei diritti umani delle persone trafficate, ma il tempo trascorso al rifugio è troppo breve per permettere una corretta valutazione degli indicatori di tratta. Molte di coloro che arrivano in Italia già nel contesto di una rete criminale, non vengono riconosciute come tali, con la conseguenza di essere private dei loro diritti. [11].

Spesso queste sono registrate come membri di nuclei familiari insieme a donne e uomini che a malapena conoscono. L’identificazione precoce durante le fasi di sbarco e negli Hotspot, come indicato nelle Procedure Operative Standard e nei Protocolli vigenti in molte regioni, è condizione necessaria per combattere il fenomeno e garantire il rispetto dei diritti umani delle persone coinvolte. Tale identificazione, unita al trasferimento delle persone interessate in luoghi sicuri, permetterebbe una diminuzione del numero di persone esposte a questo fenomeno presso una frontiera pericolosa come quella tra Italia e Francia.

Molte di queste donne vengono da percorsi di vita drammatici.

Fatma (nome di fantasia) arriva al rifugio con le sue due bambine di uno e sei anni, dopo un viaggio lungo e molto doloroso. La donna arriva a Lampedusa all’inizio di marzo incinta alla ventottesima settimana. Dal giorno di arrivo dichiara di non sentire più movimenti del feto e chiede assistenza medica. Dichiara di aver ricevuto una visita molto frettolosa e risposte inadeguate alla situazione e molto approssimative. Quando viene trasferita in un CAS dell’Italia settentrionale, viene portata per dei controlli all’ospedale. Le viene indotto un parto naturale, che dà alla luce un feto morto. “Questo è il mio bambino” dice la donna in lacrime mentre mostra una foto dove è ritratta con il bimbo senza vita in braccio.

Sappiamo che Fatma ha scelto di raggiungere la Francia perché non sopportava più di stare in Italia dopo il trauma vissuto. È partita con molti sensi di colpa, convinta che a causare la morte del figlio sia stata la sua scelta di intraprendere il viaggio e l’incuria degli operatori presenti all’hotspot di Lampedusa.

A Oulx si susseguono gli arrivi di donne incinte, di donne che hanno abortito o partorito da poco o sono accompagnate da neonati e bambini che hanno come unico ricordo di vita il viaggio. A ognuna di queste donne viene proposta una visita e un colloquio individuale. Una panoramica più completa viene fornita nei paragrafi a seguire.


[11] https://www.asgi.it/notizie/aggiornate-le-linee-guida-identificazione-delle-vittime-di-tratta/

Il viaggio

 

Tra i transitanti che ogni giorno passano a Oulx si possono incontrare le storie più diverse. Chi arriva al sesto tentativo di attraversamento della frontiera e chi è riuscito a superarla al primo. Chi va a raggiungere un familiare o un amico e chi è partito senza una meta definita, nessuno da raggiungere, solo qualcosa da cui scappare.

Spesso la lunghezza e la difficoltà del viaggio è legata anche alla disponibilità economica. L’intera traversata, infatti, può costare dai 2 agli 8 mila euro. Nei report precedenti abbiamo spesso evidenziato i rischi che le persone corrono attraversando la rotta balcanica. Rischi legati alla natura, ma soprattutto alla condotta dei corpi militari, paramilitari e di polizia degli stati attraversati dalle persone migranti. Sono gli addetti al controllo delle frontiere di diversi stati dei Balcani che spesso si rendono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Se attraversare i confini di Bosnia, Croazia, Serbia e Slovenia spesso significa andare incontro ad abusi e violenze di diverso tipo, i rischi non terminano una volta entrati nel territorio dell’Unione Europea. Questo vale soprattutto per alcune categorie di persone vulnerabili come donne e bambini. Ogni giorno, infatti, in particolare negli ultimi mesi, al rifugio “Fraternità Massi” è possibile incontrare minori respinti dalla polizia di frontiera francese. Si tratta in molti casi di ragazzi che dichiarano all’autorità la loro età e la loro condizione di vulnerabilità, spesso mostrando anche certificati di nascita, e che, nonostante ciò, vengono respinti.

Costretti a ritentare o a cambiare rotta, sono in pochi quelli che decidono di fermarsi in Italia e chiedere protezione, anche e soprattutto a causa della difficoltà di presentare la domanda di asilo e accedere al sistema di accoglienza. Come già descritto, i tempi per presentare domanda di asilo presso la Questura di Torino sono abnormi. Fino a sei mesi le persone sono costrette a mettersi in coda, ogni giorno, solo per poter prendere un appuntamento. In seguito, è necessario attendere ulteriori 4-5 mesi per formalizzare la domanda di asilo. Nell’attesa, non essendo riconosciuti formalmente come richiedenti asilo, non riescono ad avere accesso al sistema nazionale di accoglienza. L’attesa riguarda soprattutto coloro che arrivano dalla rotta balcanica, mentre le persone che arrivano via mare generalmente vengono fotosegnalate al porto di sbarco o in hotspot.

Camara (nome di fantasia), diciannovenne della Costa d’Avorio che da quando ne ha diciassette è in viaggio verso l’Europa, ci racconta del suo terribile viaggio. Entra in ambulatorio un martedì mattina di inizio marzo chiedendo medicine per i suoi occhi.

Lo visitiamo e a una prima valutazione emerge una cheratite ormai cronicizzata. Ci racconta che da 5 mesi non vede bene e che soffre di un terribile bruciore. Come se avesse continuamente dei fastidiosi granelli di sabbia dentro gli occhi. Vive questo fastidio costante da quando si sveglia a quando va a dormire.

Tutto è iniziato lungo il suo viaggio, durato 2 anni. Un viaggio sfibrante che in gergo viene definito “la strada per l’inferno”. Racconta che, mentre attraversava il Sahara ammassato nel retro di un pick-up, alcuni miliziani hanno fermato il convoglio e hanno fatto scendere i passeggeri uno per uno. Li hanno fatti mettere sotto il sole cocente, nel mezzo del deserto in pieno giorno e a un tratto una guardia gli ha intimato di guardare il sole. Dritto negli occhi. “Ogni tanto controllavano che nessuno distogliesse lo sguardo e se notavano che chiudevi gli occhi ti minacciavano”. Non sa dire quanto sia durato. Il ricordo è sfocato. Ricorda però che era un tempo interminabile. Un tempo certamente sufficiente per provocare una fotocheratite, una vera e propria ustione della cornea che ha condannato Camara a un viaggio ancora più lungo e faticoso. Come se già non bastasse.

visita medica oulx team medu

Problematiche sanitarie causate dal viaggio

Durante il periodo analizzato, l’intervento di MEDU presso il rifugio di Oulx ha consentito di sottoporre a triage 4.193 persone e di visitarne approfonditamente 1.214. Le principali patologie trattate all’interno della clinica di frontiera sono malattie sviluppate durante il viaggio. La maggior parte dei pazienti è costituita da uomini giovani e in buona salute che sviluppano malattie in seguito ai disagi e alle violenze subite durante il cammino lungo la rotta balcanica o l’attraversamento via mare del Mediterraneo. Le persone arrivano infatti da viaggi lunghi e faticosi con permanenze in campi profughi istituzionali e insediamenti informali, attraversando confini dove, come già detto, si verificano continue violazioni dei diritti umani con conseguenti traumi fisici e psicologici.

Tali problematiche sanitarie in alcuni casi si cronicizzano, a causa del difficile accesso alle cure nei paesi di transito, determinando l’insorgere di vere e proprie vulnerabilità che rallentano il cammino e talvolta lo rendono impossibile.

In diverse occasioni il team si è trovato ad assistere persone che presentavano esiti di traumi fisici, violenze o infezioni risalenti a periodi antecedenti, talvolta anche di mesi. Nei paesi attraversati (Turchia, Serbia, Bosnia per la rotta balcanica o Libia e Tunisia per quella mediterranea) le persone migranti non avevano ricevuto assistenza, a causa dell’assenza o carenza di personale nei campi profughi informali e in alcuni istituzionali o dell’impossibilità di accedere alle strutture sanitarie pubbliche e private.

cura medu oulx

Questo mancato accesso alle cure risulta essere un chiaro esito dell’approccio con cui vengono approntati e gestiti molti dei luoghi destinati all’accoglienza dei transitanti, quali: i campi profughi istituzionali presenti in Grecia, Bosnia e lungo la rotta balcanica, i centri di detenzione per i migranti in Libia o ancora gli hotspot di prima accoglienza post-sbarco come Lampedusa. Spazi, che in alcuni momenti dell’anno risultano sovraffollati, con risorse inadeguate e personale insufficiente a rispondere alle esigenze delle persone accolte. Questi luoghi, destinati all’accoglienza temporanea, seppur molto diversi tra loro, sono organizzati e gestiti secondo criteri emergenziali, sebbene i flussi migratori siano ormai piuttosto prevedibili e le risposte, in termini di gestione, maggiormente programmabili. Ad oggi, tuttavia, la risposta ad un fenomeno di così ampia portata e dalle conseguenze sociali determinanti, continua ad essere improntata al contenimento dei flussi, all’emergenza e alla “straordinarietà” delle misure. Ne sono prova la residualità dei canali di accesso regolari, la militarizzazione delle frontiere, l’assenza di una politica migratoria europea, l’elevata percentuale di richiedenti asilo accolti nei CAS – centri di accoglienza straordinaria – piuttosto che all’interno del sistema di accoglienza e integrazione (SAI), il numero ridotto di posti per minori e persone vulnerabili, il sovraffollamento e la carenza di servizi presso gli Hotspot.

Infezioni cutanee quali scabbia, micosi, punture di insetto e ferite infette (soprattutto durante l’estate) sono state trattate quotidianamente. Talvolta è stato necessario ricorrere a terapie sistemiche e ospedalizzazioni in seguito alle sovrainfezioni insorte per il protrarsi della patologia nel tempo. Malattie, queste ultime, causate inequivocabilmente dalla promiscuità, dalla scarsa igiene e dalle condizioni di degrado dei campi e degli insediamenti informali in cui i transitanti si sono trovati a dormire e vivere durante il proprio cammino.

Numerose inoltre sono state le medicazioni di ferite e ustioni. Le ustioni più frequenti risultano essere quelle da carburante avvenute durante il viaggio in mare, mentre le ferite sono spesso causate dal passaggio attraverso recinzioni di filo spinato e/o aree boscose ricche di rovi (tipiche delle foreste di Serbia e Bosnia) capaci di tracciare delle vere e proprie ragnatele di abrasioni su gambe, schiene e braccia.

Quotidiane inoltre sono state le medicazioni dei piedi per le lesioni causate dalle centinaia di chilometri percorsi dalle persone in transito, spesso con calzature inadatte e su terreni fangosi o cammini obbligati lungo i fiumi, che hanno portato a un lento stillicidio di abrasioni della cute con lesioni dovute a ritardata guarigione, molto dolorose, in grado di rendere difficile se non impossibile il cammino.

Il lungo e traumatico viaggio verso l’Europa ha lasciato segni spesso permanenti sui corpi dei pazienti visitati. Frequenti sono stati i traumi fisici, spesso accidentali, correlati a cadute, salti da muri e strutture scavalcate e a traumi avvenuti negli insediamenti informali per accendere fuochi o raccogliere la legna. In diversi casi, inoltre, si è raccolta testimonianza e denuncia di violenze fisiche avvenute in sede di frontiera da parte di enti governativi per mezzo di manganelli, cani della polizia, aste di ferro o canne di fucili. Tali episodi, stando alle testimonianze raccolte, sono avvenuti più precisamente al confine bosniaco-croato, in Serbia, Bulgaria, Tunisia e Libia.

Silo (nome di fantasia), ma come lui molti altri pazienti incontrati, ci ha raccontato di essere stato fermato dalla polizia croata nella jungle che separa la Bosnia dalla Serbia. ‘’Era notte, i poliziotti croati hanno iniziato a spingerci per farci entrare uno alla volta dentro il fiume, era febbraio e la temperatura era sotto lo zero. Poi ci hanno preso i cellulari, rompevano gli schermi e le fotocamere. Io non volevo darglielo. Per me il cellulare è essenziale per sentire mia moglie e mia figlia e ho le foto dei miei documenti. Mi hanno colpito sul fianco con un manganello, mi è mancato il fiato, sono caduto a terra e mi hanno preso il cellulare dalla tasca. Poi ci hanno riportato indietro e ci hanno lasciato in un piazzale, in piena notte ancora bagnati con i cellulari distrutti. Ero arrabbiato e triste’’.

Vulnerabilità psicologiche

Una problematica rilevata frequentemente nell'attività ambulatoriale è la presenza di un’elevata percentuale di persone con sintomi da stress post-traumatico. Molti pazienti hanno testimoniato trattamenti inumani e degradanti che hanno segnato in modo indelebile il corpo e la psiche. Numerose sono state le denunce di torture inflitte in maggior numero dal regime talebano, dai gendarmi libici e dalle autorità tunisine. Si tratta di eventi che per la loro gravità sono stati in alcuni casi motivo della scelta di intraprendere il viaggio verso paesi più sicuri. Fra questi citiamo amputazioni di mani e arti, ferite da arma da fuoco con permanenza di proiettili all’interno del corpo, fratture per percosse, ustioni con ferri roventi, minacce e violenze sessuali. Dalle anamnesi raccolte diversi pazienti hanno riportato, durante la visita, sintomi quali: insonnia, pensieri disturbanti e intrusivi legati agli eventi traumatici, incubi, attacchi di panico, inappetenza, astenia, cefalea e difficoltà di concentrazione. Spesso è emerso durante il colloquio uno stato di stress e ansia correlato ai traumi passati e all'incertezza del proprio presente e futuro, alle aspettative della famiglia (spesso rimasta nel paese di origine), al debito accumulato per raggiungere l’Europa e alla paura del ripetersi delle atrocità vissute in precedenza.

Attività di assistenza e presa in carico


Oltre che alle visite ambulatoriali diurne grande spazio è stato dedicato alle persone con vulnerabilità e disabilità, spesso preesistenti già nel paese di origine, che si sono messe in viaggio con la speranza di trovare assistenza e cure più adeguate.

Per questi pazienti, il team MEDU non si è limitato a un singolo intervento ambulatoriale, ma ha proposto un percorso di cura con conseguente inserimento e accompagnamento nel sistema sanitario nazionale e ha attivato un supporto nella procedura di richiesta di asilo. Questi sono stati casi meno frequenti, ma per i quali è stata necessaria un’assistenza nel tempo garantita grazie al lavoro congiunto di MEDU, Diaconia Valdese, Croce Rossa e Rainbow for Africa.
Tra le persone prese in carico ed ospitate dalla CRI al Polo di Bussoleno c’è una coppia tunisina. Samira è sempre sorridente, anche quando ricorda il suo viaggio della speranza a bordo di una barca improvvisata. Insieme al suo compagno mostrano sullo smartphone i corpi delle persone a bordo del barchino che li ha portati dalla Tunisia a Lampedusa. Insieme hanno trovato la forza di sorridere anche nei momenti più drammatici del viaggio perché la loro forza era la certezza che il peggio era alle spalle “Ci dicevamo “O l’Europa o la morte: indietro non si torna”. Prima di imbarcarsi sulle coste di Sfax, in Tunisia, Samira era un’atleta paralimpica: «Gareggiavo su tutte le distanze, dai 200 metri alla maratona. Poi sono diventata allenatrice», racconta.

Samira e il suo compagno sono stati protagonisti di un respingimento, quando all’ingresso del tunnel del Frejus, in territorio italiano, i gendarmi francesi li hanno fatti scendere dal bus su cui viaggiavano. Poco importava che lei si sostenesse con una stampella e lui fosse in sedia a rotelle, eredità della poliomielite contratta da bambini.

Nel documento per la richiesta d’asilo compilato allo sbarco, alla voce “vulnerabilità” l’agente di polizia ha barrato la casella “no”. Nessun medico li ha visitati e, data la provenienza da un cosiddetto Paese sicuro, sulla loro domanda di asilo, non sono state applicate le garanzie standard.

“Rappresentare il mio Paese e ascoltare l’inno nazionale durante la premiazione è stato un orgoglio unico. Ho dato tutto per la Tunisia, ma in cambio non ho avuto nulla, sono stata tradita», si sfoga Samira. Alla prima occasione sono scappata». Per la sua seconda vita sogna di fare l’allenatrice in Italia: «Mi piacerebbe aiutare persone che hanno vissuto un’esperienza simile alla mia – confida – in un Paese dove i disabili non sono invisibili come accade in Tunisia”[12].


[12] https://www.lastampa.it/cronaca/2022/12/16/news/samira_la_maratona_per_la_vita_in_italia_voglio_
tornare_a_vivere-12415260/

Un altro paziente visitato in ambulatorio è Ahmed (nome di fantasia), che porta sulla sua pelle le tracce di un sistema disfunzionale, che lo ha abbandonato in mezzo alla strada.

Ahmed viene dal Marocco e ha passato gli ultimi due anni della sua vita in un carcere del Piemonte. Durante questo periodo gli viene diagnosticato la sieropositività e proprio in carcere inizia una terapia antiretrovirale. La sua condizione, però, non viene regolarizzata dal punto di vista sanitario. Nonostante la procedura preveda l’iscrizione temporanea al Servizio sanitario regionale attraverso il codice STP[13].. Ciò ha comportato che al momento della sua scarcerazione si sia ritrovato senza alcuna terapia, senza alcuna possibilità di accesso alle cure e senza informazioni su come procurarsi la terapia e accedere ai servizi. Ahmed si ritrova così da solo a Torino in una situazione piuttosto grave poiché non può accedere a cure essenziali e vitali. Una volta terminata la terapia ricevuta in carcere, Ahmed decide di andare in Francia alla ricerca di cure e di una condizione migliore. Afferma di essersi recato al pronto soccorso ma di non aver ricevuto alcuna risposta ai suoi bisogni. Il team di MEDU ha incontrato Ahmed al rifugio di Oulx e, dopo una visita di controllo, gli ha proposto di accedere alle cure a Torino grazie al codice STP. Dopo periodo trascorso al polo di Bussoleno è stato inserito nel sistema di accoglienza dopo aver formalizzato la domanda di asilo in Italia.

Lo stato della frontiera

Analizzando i dati forniti dalla CRI, emerge che da gennaio a marzo del 2023 sono state 712 le persone respinte tra il tunnel del Frejus e il colle del Monginevro. Si tratta di dati parziali poiché tengono conto solo delle persone accompagnate dalla CRI alla stazione ferroviaria di Oulx o al rifugio una volta respinte, mentre durante il giorno vi sono numerosi accompagnamenti fatti direttamente dalla polizia alla stazione più vicina, e pertanto non monitorati. Sempre considerando la parzialità del dato si calcola che nel corso del 2022 invece sono state 4.127 le persone respinte alla frontiera e accompagnate dalla CRI.

L’inverno e la frontiera alpina


Nella stagione invernale la principale causa di accesso all’ambulatorio è stata la presenza di bronchiti, sindromi influenzali e da raffreddamento correlate all’attraversamento a piedi della frontiera, con lunghi periodi di esposizione a temperature alpine sotto lo zero. Inoltre, numerosi sono stati i traumi dovuti a cadute sul ghiaccio e le ustioni da congelamento causate dal prolungato contatto del corpo con la neve.

La frontiera italo-francese, infatti, seppur quasi del tutto priva di episodi di violenza fisica da parte degli enti governativi, risulta tutt’oggi un luogo militarizzato in cui avvengono quotidianamente respingimenti da parte della polizia francese. Una frontiera che ogni anno, in inverno, diventa luogo in cui le persone migranti subiscono traumi e lesioni che talvolta causano disabilità e in alcuni casi morte. Ricordiamo nel gennaio 2022 la morte di Fathallah Blafhail, 32 anni di origine marocchina, annegato nella diga del Freney nei pressi di Modane e Ullah Rezwan Sheyzad, 15 anni di origine afghana, schiacciato sotto le rotaie del treno.

Nell’inverno appena trascorso sono state assistite dal soccorso alpino e dalla Croce Rossa diverse persone disperse rinvenute in stato di ipotermia così grave da necessitare l’ospedalizzazione.

Molte sono le morti avvenute al confine italo-francese: 46 corpi identificati dal 2015 ad oggi, fra questi quello di Blessing Matthew, donna nigeriana di 21 anni il cui corpo è stato trovato in una diga nella valle di Briancon.

La famiglia di Blessing ancora oggi chiede verità e giustizia. Il procuratore di Gap nel novembre del 2019 ha deciso di archiviare il caso. Viste le numerose incongruenze fra le prove raccolte e le dichiarazioni dei gendarmi, su richiesta dell’associazione Tous Migrants e con il contributo di un testimone che era in viaggio con Blessing, l’agenzia Border Forensics ha pubblicato nel maggio del 2022 una analisi che porta alla luce nuovi elementi a supporto della tesi per cui la donna sia morta per sfuggire ad un inseguimento da parte della polizia francese.[14]. Nonostante ciò il PM ha risposto di non voler riaprire le indagini e di conseguenza nell’ottobre del 2022 è stato presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

La morte di Blessing, come le altre avvenute al confine fra Italia e Francia, merita giustizia per fare in modo che la violenza costata la vita umana non sia aggravata dall’impunità. Impunità che permetterebbe il perpetuarsi di politiche e pratiche di controllo che, come i fatti dimostrano, mettono in pericolo le persone in transito.

Tali traumi e danni alla salute sono una diretta conseguenza della militarizzazione della frontiera alpina che vede ogni giorno un’attiva caccia all’uomo da parte della polizia francese e sistematici respingimenti. Questa strategia securitaria comporta che molte persone in transito scelgano di attraversare la frontiera attraverso sentieri più in alta quota, meno visibili ma più impervi, dove perdersi è facile. Spesso l’attraversamento avviene di notte, con la fretta di percorrere un tragitto in cui in ogni istante c’è il rischio di essere fermati e con la paura che una sosta o l’accensione di una luce possano essere causa di respingimento. Tali interventi di polizia, come dimostrato dai fatti, risultano inefficaci nel contenimento dei flussi ma aumentano i rischi per chi viaggia.




[14] https://www.borderforensics.org/updates/25-10-2022-death-of-blessing-matthew-facing-impunity-in-france-we-file-an-application-before-the-european-court-of-human-rights/
frontiera oulx migranti

Queste condizioni e premesse generano, soprattutto d’inverno, con neve e temperature sotto lo zero, uno scenario che tutt’oggi mette in pericolo la salute e porta quotidianamente i migranti a ricorrere alle cure degli infermieri e dei medici presenti nel rifugio.

La frontiera con la Francia non lascia solo segni sulla pelle. Oltre ai traumi fisici vanno infatti menzionati i traumi meno visibili, come quelli di carattere psicologico. Valicare la frontiera significa fare i conti con un prolungato carico di ansia e paura. Chi si pensa al sicuro una volta entrato nell’Europa dei diritti spesso è costretto ad un brusco “risveglio” quando si imbatte in nuove frontiere militarizzate.

Dover affrontare un nuovo game e vedersi nuovamente respinti spesso è causa di angoscia e frustrazione. A tale proposito ricordiamo un signore di 42 anni camerunense che in occasione del respingimento ha avuto una crisi d’ansia con sintomi di conversione che ha richiesto l’ospedalizzazione.

Nel caso della frontiera alpina, come per ogni confine, maggiori sono le vulnerabilità dei soggetti che la attraversano, più il passaggio risulta invalicabile. Difficile dimenticare la frustrazione di una famiglia afgana con una figlia affetta da Sindrome di Down di 8 anni che per 6 volte è stata respinta. Ovviamente la bambina faceva fatica a camminare ed era ormai troppo pesante per essere portata a spalle come i fratelli. Inoltre sono innumerevoli le persone con problemi di deambulazione costrette a sentieri più a bassa quota e visibili e quindi sottoposte ad un rischio maggiore di essere intercettata e respinta.

Dipendenze

Il tema delle dipendenze è un fenomeno complesso le cui cause risultano essere eterogenee. In diverse occasioni abbiamo assistito persone partite sane dal proprio paese, che hanno iniziato a fare uso di sostanze lungo il viaggio trovandosi successivamente a fare i conti con assuefazione e crisi di astinenza anche gravi. In particolar modo abbiamo riscontrato dipendenze da farmaci, e tra i più frequenti citiamo certamente il Pregabalin (Lyrica) e il Clonazepam (Rivotril). Spesso i pazienti hanno richiesto assistenza medica per ottenere tali farmaci. Secondo le testimonianze raccolte, alcuni di essi avevano iniziato ad assumere i farmaci in luoghi di detenzione quali carceri e CPR. In altri casi avevano iniziato ad assumerli nel corso del viaggio, in particolare nei campi profughi disseminati lungo la rotta. Si tratta di farmaci che vengono somministrati per la gestione dell’insonnia, dell’agitazione e dello stress. Tali farmaci non sono indicati per tale sintomatologia ma, per il basso costo e la lunga emivita, vengono usualmente sovra-prescritti, in una prassi ormai normalizzata, al fine di contenere e sedare i migranti all’interno di spazi limitati e affollati. Questi quadri di dipendenza in alcuni casi si sono presentati anche in seguito a permanenza nel territorio italiano. Alcuni pazienti hanno infatti testimoniato di aver iniziato ad assumere tali terapie all’interno dei CPR italiani, carceri, hotspot e navi quarantena.

L’utilizzo del Rivotril (che da scheda tecnica sarebbe indicato solo come antiepilettico) determina nel lungo periodo assuefazione con crisi di astinenza, depressione e conseguenti atti di autolesionismo. Le storie raccolte sono numerose e personali ma, la dipendenza da questi farmaci e la presenza di effetti collaterali simili risulta essere un comune denominatore che permette di parlare di un vero e proprio utilizzo sistemico di tali sostanze.

Fra le tante storie possiamo citare quella di un giovane marocchino che nel percorrere la rotta balcanica si è trovato costretto a rimanere in Turchia per 6 mesi in seguito alle violenze subite da parte di un gruppo di passeur[15]. a causa di mancati pagamenti. Racconta di aver ricevuto percosse con delle aste di ferro di cui riporta le cicatrici sulle gambe e che lo costringono a un’evidente zoppia. Spiega di essersi recato in ospedale subito dopo l’aggressione, senza però aver ricevuto cure adeguate e senza essere stato sottoposto ad alcuna radiografia - nonostante le fratture successivamente dimostrate - ma di essersi medicato in autonomia nel campo in cui si è trovato a sostare per i successivi mesi. In tale occasione ha iniziato a assumere il Rivotril per riuscire a dormire e sentire meno il dolore. Dapprima il farmaco gli è stato fornito da compagni che già lo assumevano e poi dal medico del campo settimanalmente. Giunto al nostro ambulatorio a distanza di un anno da tale evento, riportava sintomi di astinenza quali tremori, agitazione e sudorazione profusa per il mancato reperimento del farmaco. Dal colloquio è emerso un quadro di depressione e alla visita le braccia e l’addome erano segnati da tagli autoinflitti.


[15] Termine utilizzato per indicare chi organizza il trasporto clandestino di migranti in cambio di denaro.

oulx ifugio migranti
Farid (nome di fantasia) arriva a Oulx, dopo diversi respingimenti, con una dipendenza da eroina sviluppata lungo il viaggio. Forse l’unica risposta che aveva trovato per affrontare le fatiche del cammino e lo stress causato da tutta la violenza che quel viaggio ha significato. Arriva al rifugio in piena crisi di astinenza e con la necessità di ospedalizzazione. Farid ha accolto la proposta della dottoressa di fermarsi presso il polo di Bussoleno [16]. e iniziare un periodo di disintossicazione e, dopo un’attesa di sei mesi, è riuscito ad entrare in un progetto di accoglienza dove sta continuando il suo percorso, con un possibile inserimento lavorativo.


[16] Polo Logistico Valle di Susa. Nel 2016 il Comune di Bussoleno ha assegnato a CRI una parte dell’ex Istituto Scolastico “Plana Ferrari” in comodato d’uso con l’obiettivo di adibirlo a Polo Logistico di Protezione Civile.

Minori stranieri non accompagnati (MSNA)

La maggior parte dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) visitati è di origine afgana e iraniana ed è stata assistita nel periodo fra luglio e fine novembre. Nei mesi invernali, il numero dei minori visitati è stato minore, in concomitanza con un calo generale degli arrivi. La maggior parte dei MSNA monitorati è giunta in Italia attraverso la rotta marittima turco-calabra e comprende prevalentemente soggetti che viaggiavano in gruppi di 5-10, partiti insieme o con gruppi consolidati durante il cammino. Spesso i minori di età fra i 13 e 16 anni sono giunti in rifugio pochi giorni dopo lo sbarco lungo le coste calabresi e senza familiari, per lo più rimasti nel paese di origine a finanziare il viaggio. I viaggi, come testimoniato dalle persone stesse, risultano essere molto più brevi rispetto alla classica rotta balcanica percorsa via terra. Tuttavia, sono molto più onerosi economicamente per la necessità di investire in un breve periodo migliaia di euro, cifra più difficilmente reperibile da nuclei familiari più numerosi.

grafico minori
FIGURA 3: dati raccolti da Rainbow4Africa ed elaborati dal team di MEDU.
La maggior parte dei gruppi di MSNA giunti al rifugio erano composti da soggetti sani che hanno sviluppato problemi sanitari durante il viaggio. Nella maggior parte dei casi, viaggiavano in gruppi, dormendo e vivendo in luoghi con scarse condizioni igieniche, causa di frequenti infezioni e parassitosi.

Circa il 30% dei MSNA giunti nel periodo estivo presentavano un’infezione da scabbia, talvolta non adeguatamente trattata in precedenza, e in alcuni casi è stata necessaria la terapia antibiotica orale in seguito a impetiginizzazione delle lesioni con conseguente febbre, edema e flogosi degli arti coinvolti. La presenza di gruppi consolidati ha determinato spesso il rifiuto da parte dei pazienti di ricorrere all’ ospedalizzazione o di fermarsi per un periodo di convalescenza, per non separarsi dai propri compagni di viaggio. In assenza di punti di riferimento famigliari spesso l’appartenenza a un gruppo di viaggio diventa prioritaria anche rispetto alle condizioni di salute. In diverse occasioni infatti soggetti con stati di salute precari hanno affrontato i sentieri di montagna con l’aiuto dei compagni per evitare di separarsi e trovarsi a continuare il viaggio da soli.

Dal punto di vista legale, in base ai dati raccolti dallo sportello legale di Diaconia Valdese, i MSNA giunti alla frontiera italo francese vengono presi in carico dalla Polizia di Frontiera Italiana del Monginevro che esegue una verifica delle impronte digitali. La presa in carico avviene nel caso in cui il minore abbia lasciato precedentemente le impronte in Italia dichiarando la minore età o nel caso in cui le impronte non siano registrate e il soggetto dichiari la minore età. Secondo la legge il minore ha sempre diritto di dichiarare la minore età anche smentendo dati precedentemente rilasciati e, in tal caso, entra poi in una procedura di accertamento dell’età. Nonostante questo, sulla base dei dati raccolti, possiamo affermare che alla frontiera del Monginevro, se il minore ha già lasciato impronte dichiarando la minore età, viene sempre preso in carico. In caso contrario è presente una maggiore discrezionalità.

Se non sono state registrate le impronte precedentemente, viene valutato il profilo del soggetto quindi le caratteristiche fisiche, i documenti, le foto di possibile documentazione presente nel cellulare e le dichiarazioni del richiedente. Questa verifica, che viene effettuata attraverso la perquisizione del minore, risulta essere illegittima poiché viene attuata prima della presa in carico che richiederebbe come unico requisito sufficiente la dichiarazione del richiedente. Nel caso in cui il minore in fase di registrazione all’ingresso in Italia abbia dichiarato la maggiore età, in sede di frontiera, nonostante la possibilità secondo legge di poter smentire la pregressa dichiarazione, viene spesso considerato maggiorenne.

Dalle testimonianze raccolte presso lo sportello legale della Diaconia Valdese, emerge che spesso il minore giunto ai porti calabresi/siciliani viene registrato come maggiorenne o per falsa dichiarazione rilasciata per il timore del richiedente di essere trattenuto in Italia in caso di dichiarazione della minore età oppure in seguito a possibili inadempienze del personale che ha in carico la registrazione. Spesso, infatti, i MSNA hanno riferito difficoltà nel dichiarare la propria età o ancora di essere stati registrati con date di nascita diverse rispetto a quelle dichiarate.1 Alcuni affermano di essere stati indotti a dichiarare la maggiore età a causa della difficolta di lasciare l’hotspot in quanto minorenni.
Le direttive del Ministero dell’Interno dicono che “Qualora sussista un dubbio circa l’età dichiarata, questa è accertata in via principale attraverso un documento anagrafico, anche avvalendosi della collaborazione delle autorità diplomatico-consolari. L'intervento della rappresentanza diplomatico-consolare non deve essere richiesto nei casi in cui il presunto minore abbia espresso la volontà di chiedere protezione internazionale ovvero quando una possibile esigenza di protezione internazionale emerga. Qualora permangano dubbi fondati in merito all’età dichiarata da un minore straniero non accompagnato è previsto che l’accertamento dell’età, del quale sia il minore sia l’esercente i poteri tutelari devono essere adeguatamente informati, venga disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, ed effettuato ai sensi del “Protocollo multidisciplinare per la determinazione dell’età dei minori stranieri non accompagnati” approvato il 9 luglio 2020. Qualora disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, l’accertamento dell’età è condotto da professionisti adeguatamente formati, alla presenza di un mediatore culturale, con modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del genere e del sesso, dell’integrità fisica e psichica della persona, e con garanzie per il presunto minore di informativa sulla procedura, anche con l’ausilio del mediatore culturale, e possibilità di impugnativa. Qualora, anche dopo l’accertamento, permangano dubbi sulla minore età, questa è presunta ad ogni effetto di legge.”[18]. Resta il diritto dei minori di chiedere un cambio anagrafico qualora vi sia stato un errore nella precedente registrazione.


[18] https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2022-08/24._vademecum_per_la_presa_in_carico_dei_minori_stranieri_non_accompagnati.pdf/
Oulx inverno

È del tutto evidente che sussistono grandi differenze tra quanto prescritto dalle norme e la loro effettiva applicazione.

Infine, è necessario precisare che se la presa in carico del minore viene attuata presso la frontiera del Monginevro, ciò non viene fatto a quella del Frejus. I respingimenti al Frejus, infatti, vengono eseguiti da parte della polizia francese, ma in territorio italiano, quindi il minore viene consegnato alla polizia italiana che lo prende in carico anche se non desidera chiedere protezione in Italia.

Nel caso in cui il minore invece dichiari la volontà di chiedere protezione in Italia, presso il rifugio Fraternità Massi, viene attivata la procedura contattando i servizi sociali (Con.i.s.a di Susa) e il Commissariato di polizia così che il minore possa essere accompagnato presso le comunità per minori di Salbertrand e Rubiana dove verrà poi sottoposto alle procedure di accertamento dell’età. Nei casi in cui tali comunità non abbiano disponibilità di posti il minore attende all’interno del polo logistico della Croce Rossa di Bussoleno.

Su questo tema abbiamo chiesto un contributo dell’operatrice legale della Diaconia Valdese che opera all’interno della progettualità del rifugio “Fraternità Massi”.

Se negli ultimi sei mesi del 2022 si sono incontrate presso lo sportello legale principalmente persone di nazionalità afghana e iraniana, nei primi mesi del 2023 il flusso è cambiato riscontrando principalmente la presenza di persone camerunensi, ivoriane e guineane. Il flusso di transitanti marocchini per la maggior parte proveniente dalla rotta balcanica, invece, rimane significativo. L’informativa legale, dunque, è differente perché differente è la condizione di partenza delle persone in transito. Chi arriva dalla rotta balcanica, nel caso in cui volesse presentare domanda di asilo in Italia, si scontra con le grandi difficoltà di accesso alle Questure e con le lunghe tempistiche di ingresso in CAS. Chi è sbarcato a Lampedusa, invece, si trova in frontiera a seguito di abbandono del centro CAS assegnato e necessita di informativa circa il fotosegnalamento allo sbarco, il conseguente rischio dell’attivazione della procedura Dublino in caso di domanda di asilo in altro stato e circa le rigide tempistiche previste dalla normativa al fine di non perdere la possibilità dell’accoglienza.

Negli ultimi mesi elevato è il numero di minori stranieri non accompagnati respinti al confine a causa del precedente fotosegnalamento come maggiorenni allo sbarco. Alcuni mostrano fotografie di estratti di nascita e riferiscono la mancata corretta registrazione dell’età nonostante le loro dichiarazioni. Spesso è proprio questa la motivazione del transito verso la Francia: essere stati inseriti in CAS per adulti e il non sentirsi riconosciuti nei propri diritti rappresenta un incentivo a partire.

Uguali per tutti sono le difficoltà incontrate al confine italo-francese dove i controlli alla frontiera e i pushbacks quotidiani rendono pericoloso e difficile l’attraversamento. Continua a non essere possibile la manifestazione della volontà di chiedere asilo in territorio francese di confine, così come difficile è ogni altro tipo di comunicazione con le forze di polizia a causa della barriera linguistica, soprattutto nei casi in cui la persona necessiti di assistenza medica o di spiegare con calma la propria situazione. I respingimenti riguardano infatti non solo richiedenti asilo ma anche cittadini regolarmente soggiornanti che vengono fermati per l’assenza di anche solo uno dei requisiti previsti dalla Francia al fine di accedere al territorio. Per esempio, la prenotazione dell’hotel che giustifica la permanenza turistica in Francia per una persona in possesso di passaporto e permesso di soggiorno rappresenta una clausola di esclusione all’accesso. Ciò fa riflettere se si pensa che la sospensione della libertà di movimento è strumentalmente giustificata e illegittimamente rinnovata ogni sei mesi per ragioni di sicurezza.

Rilevante è quanto accade a coloro che tentano di attraversare il confine con bus passando attraverso il tunnel del Frejus. Questi, infatti, sono respinti dalle autorità francesi prima ancora di entrare in territorio francese. La polizia di frontiera francese è infatti presente con un ufficio condiviso con la polizia di frontiera italiana in territorio italiano. L'edificio condiviso tra la polizia di frontiera italiana e quella francese è un blocco rettangolare vetrato che si trova tra il casello del tunnel del Fréjus che porta in Francia e la strada di montagna che si snoda fino al paese italiano di Bardonecchia. È qui che avviene la notifica del cosiddetto refus d'entrée da parte della polizia francese. La conseguenza più significativa della presenza della polizia francese in territorio italiano è per i minori non accompagnati in transito che vengono fermati dalla polizia francese ma, essendo in territorio italiano, respinti da questa e presi in carico dalle autorità italiane.

Grazie alla collaborazione con avvocate francesi negli ultimi mesi sono stati impugnati alcuni refus d’entrée notificati sia dalla polizia di frontiera di Monginevro che di Modane. Si cita a titolo esemplificativo il caso di una cittadina ivoriana incinta che viaggiava sul treno in direzione Francia. Il suo respingimento, avvenuto nonostante la manifestazione della volontà di chiedere asilo e la sua condizione di vulnerabilità, la porta il giorno successivo a decidere di intraprendere la rotta più pericolosa, quelle delle montagne tra Claviere e Briançon mettendo a rischio la propria incolumità a causa delle condizioni climatiche avverse e della mancata conoscenza del territorio. L'effetto perverso di questo processo è dunque evidente.”[19].




[19] Martina Cociglio, Diaconia Valdese, Oulx, Marzo 2023/

Donne

Le donne accolte presso il rifugio rappresentano una minoranza (il 7% del totale). Nonostante ciò, il numero di visite a donne risulta essere molto alto poiché ognuna di esse, se consenziente, viene invitata in ambulatorio per un controllo o un colloquio. L’attività ambulatoriale fin qui svolta ha consentito di visitare una media di circa 5 donne a settimana.

Questa scelta di lavoro, così come la strutturazione di un team composto prevalentemente da donne, in diversi casi ha permesso di individuare la presenza di indicatori di tratta. Questi casi sono stati prontamente segnalati all’operatrice legale di Diaconia Valdese, la quale ha fornito un’adeguata informativa e in alcuni casi ha promosso l’attivazione di procedure di protezione tramite il Numero Verde Antitratta.

migrazione per genere oulx
Figura 4: dati raccolti da Rainbow for Africa ed elaborati dal team di MEDU.
La variazione della composizione dei flussi ha determinato una variazione delle casistiche tra le donne assistite. Durante l’estate e l’autunno le donne erano soprattutto afgane, spesso all’interno di nuclei familiari, mentre durante l’inverno sono aumentate nettamente le donne provenienti dall’Africa sub-sahariana arrivate in gruppo o da sole. Spesso queste donne si presentavano alla visita in stato di gravidanza- 1 su 5 nel periodo invernale -, la maggior parte aveva già avuto figli (anche loro in viaggio o rimasti nel paese di origine). Circa un terzo ha raccontato di aver abortito in passato. Spesso sono stati riferiti pregressi aborti spontanei in donne giovani a cui hanno fatto seguito successivi ricoveri, verosimilmente dovuti a interruzioni di gravidanze clandestine o a condizioni di viaggio estenuanti e insostenibili per il protrarsi della gravidanza. Le donne gravide alla visita solitamente erano rimaste incinte durante il viaggio e avevano fatto i primi controlli ginecologici in sud Italia post sbarco (quasi mai riferivano di visite precedenti). Si trattava di gravidanze fisiologiche e all'arrivo in rifugio spesso venivano richiesti farmaci per algie addominali e nausee gravidiche che si risolvevano in pochi giorni di riposo. Lo stato di gravidanza non era quasi mai percepito come un elemento di fragilità per affrontare il cammino o come variabile che potesse modificare la scelta di attraversare la montagna (anche in caso di aborti precedenti). Nel tempo abbiamo raccolto diverse storie di donne che, nonostante la gravidanza avanzata e il consiglio di evitare il cammino, hanno comunque deciso di proseguire il viaggio pur di riuscire a far nascere il proprio figlio in Francia o nel paese di destinazione.
Laleh (nome di fantasia) è una giovane donna afghana incinta al nono mese e con un’infezione alle vie urinarie in corso. Laleh non è riuscita a fare controlli e ha già avuto degli aborti precedentemente. Si presenta all’ambulatorio a causa dei bruciori urinari. La dottoressa, visto il quadro, le consiglia di recarsi in ospedale per controllare lo stato ginecologico, dato che è prossima alla scadenza. Laleh, come molte persone che passano al rifugio, vuole andare in Francia e questa per lei rappresenta una priorità. Nonostante abbia bisogno di cure urgenti, sceglie il cammino per poter partorire in Francia. Il team di MEDU ha provato lungamente a spiegarle i rischi del viaggio per lei e per il bambino, soprattutto a causa delle basse temperature e della neve, ma Laleh ha deciso comunque di partire. A quel punto le sono state consegnate delle medicine ed è stata informata sui servizi che avrebbe trovato in Francia qualora fosse riuscita ad attraversare il confine. Laleh non è mai tornata al rifugio e a noi piace pensarla in Francia con il suo bambino.
La maggior parte delle visite ginecologiche è stata richiesta per problemi di candidosi e vaginosi presenti da mesi e non curati in precedenza. Durante la visita ginecologica delle donne dell’Africa subsahariana è capitato in alcuni casi di individuare lesioni abrasive a carico dell’area ano-genitale conseguenti a violenze o marcato lavoro sessuale. Dall’anamnesi ginecologica sono emersi episodi di violenza sessuale (quasi sempre avvenuti in Libia e/o in Tunisia) ma, non essendo presente un’equipe psicologica, a meno che non venissero riferiti elementi dalla paziente, la valutazione non è stata approfondita, pertanto certamente i dati in nostro possesso non sono numericamente rappresentativi del fenomeno. Possiamo però aggiungere che nella maggior parte delle donne visitate, indagando la qualità del sonno, emergevano episodi di insonnia e disturbi psicosomatici ragionevolmente associati allo stato di stress e ai traumi vissuti. I sintomi più frequentemente riferiti erano: sensazione di malessere generalizzato ‘’calore nel corpo’’, non associato a variazione dei parametri, cefalee descritte come ‘’ pensieri disturbanti’’, algie addominali aspecifiche, disturbi alimentari e sintomi riconducibili a significati etnoculturali. Si sono inoltre evidenziati atteggiamenti e sintomi post traumatici riconducibili a indicatori di tratta quali: difficoltà nel prendere contatto con la gravità di esperienze vissute o potenziali condotte di apparente superficialità rispetto al proprio stato di salute, riso, euforia e atteggiamento evitante e diffidente. Infine, è stata molto complessa la ricostruzione delle dinamiche presenti fra i soggetti femminili e gli accompagnatori, che spesso venivano riferiti nell’immediato come mariti salvo contraddire tale informazione in occasione della visita e dal colloquio. Tale difficoltà è stata determinata soprattutto dal breve periodo di permanenza delle persone presso il rifugio (spesso di una sola notte) e dalla necessità di svolgere più visite e colloqui in tempi spesso limitati.

Sintesi e conclusioni

Principali criticità


Nel periodo analizzato da questo report (luglio 2022 – marzo 2023) si è registrato il passaggio di 8.928 persone per un totale di 10.075 presenze giornaliere al rifugio “Fraternità Massi” di Oulx, situato a meno di 30 km dalla frontiera che separa l’Italia dalla Francia. La differenza tra persone e presenze è determinata dal fatto che alcuni individui si sono fermati per più di una notte, per motivi di salute o per riposarsi dopo un lunghissimo viaggio. Durante questo periodo il team di MEDU ha fornito assistenza a 4.193 persone effettuando 1.214 visite presso l’ambulatorio messo a disposizione dall’associazione Raimbow for Africa.

Nonostante il breve periodo analizzato si è potuto osservare una rapida variazione dei flussi e delle rotte percorse dalle persone in transito ospitate presso il rifugio “Fraternità Massi”. Se fino a dicembre 2022 il flusso era composto principalmente da afghani, iraniani e curdi, ad inizio 2023 si è assistito ad alcuni significativi cambiamenti, in particolare al drastico calo numerico di afgani e iraniani a fronte del costante aumento delle persone in arrivo dall’Africa centrale e occidentale. Resta invece costante il numero delle persone provenienti dal Marocco.

Per molte persone Oulx rappresenta una delle ultime tappe di un lungo viaggio migratorio, che può durare dai 2 ai 6 anni. Un viaggio che collega l’Afghanistan, la Siria, l’Iran e molti paesi africani con i paesi del nord Europa e dell’Europa centrale. Per molti l’obiettivo è quello di raggiungere la Francia attraversando il confine confine presso il valico del colle del Monginevro o presso il tunnel del Frejus.

Tra le 8.928 persone accolte presso il rifugio nei nove mesi presi in considerazione, erano presenti 633 donne, il 7% della popolazione transitante, e 1.017 minori, il 12% della popolazione.
Come evidenziato dalle testimonianze raccolte, lungo le rotte migratorie vengono perpetrate sistematiche violazioni dei diritti umani fondamentali come la negazione al diritto alle cure, alla tutela dell’infanzia e allo stesso diritto alla vita. La maggior parte delle persone intervistate ha raccontato di aver subito violenze fisiche, psicologiche e sessuali. In particolare, molte sono le donne provenienti dall’ Africa Sub-Sahariana che hanno subito abusi e violenze in Paesi di transito come la Libia e la Tunisia, ma anche gli uomini provenienti dalla stessa rotta hanno riferito sistematicamente torture e trattamenti inumani e degradanti. Lungo la rotta balcanica, invece, la maggior parte delle violenze e dei trattamenti brutali riferiti sono avvenuti al confine tra Bosnia e Croazia.

Anche il viaggio nel Mediterraneo lascia traumi profondi. Molti migranti hanno visto i loro compagni annegare davanti ai loro occhi, o hanno navigato per giorni con accanto i loro corpi senza vita.

A Oulx le persone arrivano quindi segnate da viaggi estenuanti, fatti di periodi trascorsi in insediamenti informali, violenze, privazioni, confini difficili da valicare e continui pericoli che producono traumi fisici e psicologici. La militarizzazione della frontiera alpina rappresenta un ulteriore fattore di rischio per l’incolumità delle persone, ormai a un passo dalla meta. La politica securitaria messa in atto dalla polizia francese impone infatti ai migranti la ricerca di sentieri meno controllati dalla polizia ma più impervi e pericolosi, spesso di notte, per poter sfuggire alla “caccia all’uomo. Nel periodo invernale, i medici che operano al rifugio hanno rilevato lesioni da congelamento e stati di ipotermia che hanno richiesto l’ospedalizzazione. E molte sono le persone che hanno perso la vita al confine italo-francese: 46 persone dal 2015 ad oggi.[20].




[20] https://www.borderforensics.org/updates/25-10-2022-death-of-blessing-matthew-facing-impunity-in-france-we-file-an-application-before-the-european-court-of-human-rights/
Sintesi medu oulx

Un ulteriore fattore di criticità è rappresentato dai numerosi casi di dipendenza da psicofarmaci la cui assunzione, in base alla raccolta delle testimonianze e delle anamnesi, sarebbe iniziata per lo più in carceri, navi quarantena, centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) o campi profughi. È stata frequentemente verificata una sovra-prescrizione di tali farmaci verosimilmente al fine di gestire ansia e agitazione in condizioni di incertezza e sovraffollamento, contesti e situazioni in cui l’utilizzo di psicofarmaci risulta una vera e propria strategia di contenimento. Questo fenomeno nello specifico fa sì che soggetti sani si trovino alla fine del proprio viaggio con una vera e propria dipendenza caratterizzata da crisi di astinenza ed effetti collaterali anche gravi e conseguente necessità di cure adeguate.

Altro nodo molto delicato è la situazione dei minori, in particolare quella di coloro che vengono registrati come maggiorenni nei luoghi di sbarco nelle coste dell’Italia del sud. Dalle testimonianze raccolte emerge che alcuni dichiarano la maggiore età per il timore di rimanere bloccati negli hotspot, poiché i posti in accoglienza per i minori sono pochi e i tempi per il trasferimento molto lunghi. Altri vengono registrati come adulti nonostante affermino di aver dichiarato la minore età. Questa errata registrazione fa sì che i minori che si presentano in frontiera vengano respinti e “costretti” a tentare il passaggio illegalmente, mettendo a serio rischio la propria vita.

Nonostante le direttive del Ministero dell’Interno stabiliscano che, qualora sussista un dubbio circa l’età dichiarata, questa debba essere accertata attraverso documenti anagrafici e con la collaborazione delle autorità diplomatico-consolari, è del tutto evidente che sussistano grandi differenze tra quanto prescritto dalle norme e la loro effettiva applicazione.

Allo stesso modo, contrariamente a quanto indicato nelle Procedure Operative Standard e nei Protocolli vigenti in molte regioni, spesso nei luoghi di sbarco e nella primissima accoglienza non vengono precocemente individuati gli indicatori di tratta nelle donne neo-sbarcate.

Spesso queste sono registrate come membri di nuclei familiari insieme a donne e uomini che a malapena conoscono. Il fatto che non vi sia personale formato e dei progetti ad hoc nei porti e negli hotspot impedisce un effettivo contrasto alle reti criminali e non fornisce effettiva protezione alle donne vittime di sfruttamento.

In ultimo, è doveroso affrontare l’argomento di chi, dopo mesi o anni di viaggio, vorrebbe chiedere protezione internazionale in Italia. Anche per questi le difficoltà sono molteplici. In primo luogo, presentare domanda di asilo presso la Questura di Torino è diventata una procedura dalle modalità e tempistiche estenuanti. Per almeno 2 mesi (ma in alcuni casi fino a 6) le persone sono costrette a mettersi in coda, ogni giorno, solo per poter prendere un appuntamento. In seguito, è necessario attendere ulteriori 4-5 mesi per formalizzare la domanda di asilo. Nell’attesa, non essendo riconosciute formalmente come richiedenti asilo, non riescono ad avere accesso al sistema nazionale di accoglienza.

Richieste

Alla luce di quanto rilevato da questo rapporto, MEDU chiede alla autorità italiane e francesi una radicale inversione di marcia sul tema della gestione dei flussi migratori alla frontiera alpina tra Francia e Italia. In particolare, MEDU chiede che venga sempre garantita la tutela dei diritti fondamentali – in primis il diritto alla salute - ai migranti che transitano sul territorio dei due Stati, a prescindere dal loro status giuridico.

Nello specifico, MEDU chiede alle autorità italiane quanto segue:

Assicurare un effettivo e tempestivo accesso alla procedura di asilo, rispettando le tempistiche e le procedure previste dalla normativa[21]. e predisporre presso gli Uffici Immigrazione delle Questure personale adeguato in termini numerici e di competenze.

[21] Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale a norma dell'articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25.

Implementare correttamente le SOPs (Procedure Operative Standard) applicabili alla gestione degli hotspot, in particolare nei confronti delle persone con esigenze specifiche:

  • Assicurando la presenza di personale formato per poter riconoscere indicatori di tratta e vulnerabilità;
  • Rispettando le direttive ministeriali e la legge Zampa in tema di corretta identificazione dei minori.

Migliorare le condizioni di accoglienza e adeguati servizi informativi presso gli Hotspot e i CAS;

Aumentare il numero di posti del sistema di accoglienza per minori nella Regione Piemonte e sul territorio nazionale;

Garantire la tutela dei diritti fondamentali – in primis il diritto alla salute - ai migranti che transitano sul territorio nazionale

Alle autorità francesi:

Porre fine alla violazione del diritto di asilo da parte della PAF (Police aux frontières) e all’utilizzo illegittimo del refus d’entrée.

Porre fine al respingimento dei minori.