Chiude il CARA di Mineo. Perché MEDU oggi non può festeggiare | Medici per i Diritti Umani

Chiude il CARA di Mineo. Perché MEDU oggi non può festeggiare

Mineo, 9 luglio 2019 – Il CARA di Mineo, voluto dal governo di centro-destra nel 2011 e dall’allora Ministro dell’Interno leghista Maroni, è da oggi un ricordo del passato. Un pessimo ricordo, pur nel rispetto di chi da qualche mese o pochi giorni ha perso il posto di lavoro e con l’auspicio che possa presto essere restituita a tutti  la dignità di un’occupazione. Medici per i Diritti Umani (Medu) accoglie con soddisfazione la notizia della chiusura definitiva dei cancelli di un centro che mai avrebbe dovuto esistere, anche se ciò avviene con 4 anni di ritardo rispetto al 2015, quando con un primo rapporto Medu ne invocava la chiusura. Oscure vicende giudiziarie ancora in corso, sovraffollamento, isolamento, distacco dal territorio e dalla popolazione locale, tempi di permanenza spropositati, l’anonimato in cui spesso veniva relegato il singolo hanno reso questo centro un luogo ingestibile e disumano per tutte le persone accolte e ancor più per quelle più vulnerabili con grave disagio psichico che in quel luogo non sarebbero mai dovute entrare. E invece il team medico-psicologico di Medu ne ha assistito 230 nel corso degli ultimi 5 anni, tutti senza alcuna eccezione sopravvissuti a tortura e trattamenti crudeli, inumani e degradanti. Persone che sono rimaste nel CARA a volte per anni, nonostante la loro presa in carico e l’accesso a cure medico-psicologiche adeguate fossero altamente problematici se non impossibili. Medu ha curato le ferite indicibili di queste persone e ha raccontato le loro storie, per testimoniare le gravissime violazioni dei diritti umani alle quali sono sopravvissute.

Alla soddisfazione per la chiusura di uno dei peggiori modelli di accoglienza sperimentati nel nostro paese, si affianca l’indignazione per le modalità profondamente inique e irresponsabili con le quali è stato scritto il finale di questa storia sbagliata. Modalità di cui il team di Medu è testimone avendo prestato assistenza alle  persone più fragili fino al giorno della chiusura e continuando a farlo anche ora al di fuori del CARA.

Qualche giorno fa avevamo commentato che la chiusura del CARA sarebbe stata una buona notizia ad alcune condizioni. Che i migranti non venissero ricollocati in strutture dove l’accoglienza è ancora più precaria o peggio abbandonati sulla strada. Che venissero tutelati i percorsi di cura e di supporto dei più fragili come ad esempio le vittime di tortura o dei portatori di grave disagio psichico. Che venissero assicurate prospettive di impiego ai tanti operatori che nella struttura hanno lavorato in questi anni con tutte le difficoltà e i disagi che sono stati descritti. Tutte condizioni che sono state puntualmente disattese.

Molte domande di questi giorni resteranno probabilmente senza risposta: perché il 2 luglio è stato frettolosamente effettuato il trasferimento degli ultimi ospiti quando per i più vulnerabili si stavano aprendo le porte di centri adatti ad ospitare persone migranti con disagio psichico in questo stesso territorio? Gli stessi vulnerabili sono invece finiti in un altro CARA, quello di isola di Capo Rizzuto, ovvero in un altro centro a bassa soglia con le stesse criticità del centro di Mineo.
Perché il Ministro dell’Interno non si è preoccupato del fatto che 30 persone fragili – quelle che l’istituzione CARA ha reso invisibili – sarebbero finite per strada nei giorni scorsi, evento scongiurato solo grazie all’intervento della Chiesa tramite il Vescovo di Caltagirone? Con quale criterio umano, prima ancora che sanitario, è stato abbandonato sul ciglio della statale Gela – Catania un paziente con grave disagio psichico portato a forza fuori dal centro la notte tra il 6 e il 7 luglio? Che fine ha fatto l’altro paziente grave visitato da uno psichiatra del DSM di Caltagirone la sera del 6 luglio e del quale si sono perse le tracce?

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