Quinta tappa: Calabria | Medici per i Diritti Umani

Quinta tappa: Calabria

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SEK

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Diario Terragiusta - Sek

Piana di Gioia Tauro, gennaio 2015

Mi sorprende parlare con te ed essere il tuo medico. Sei in Italia da quando avevo appena un anno: dal 1987. Sali sul camper e mi dici con calma e consapevolezza: “Mi voglio misurare la glicemia, non la misuro più da tempo, ma ho questa malattia da tanto”. “Ma la fa la terapia?”, gli domando. “Prendo sempre le medicine, ma mi sento un po’ debole in questi giorni”. ”Quanto lavora?”, gli chiedo. “Lavoro due o tre giorni a settimana, undici ore al giorno”. “Contratto?”. “Senza contratto, per 20 euro al giorno. Vengo qui per lavorare, ma in questi giorni a lavoro non mi sono sentito tanto bene”.

La storia è la stessa, i numeri anche. Ma nei suoi occhi e nel suo corpo leggo qualcosa di diverso. L’aria dei suoi 47 anni, saggia e consapevole, anche della sua malattia cronica. Sek ha regolare permesso di soggiorno, la tessera sanitaria valida a Roma, il suo medico di famiglia e le visite programmate e svolte al centro diabetologico. Il diabete prende tutto: i vasi sanguigni, gli occhi e i piedi. S. mi sorride dopo che ho punto il dito e abbiamo visto insieme terrorizzati l’indicatore della macchinetta: 370 di glicemia (il valore massimo è 126 mg/dL). “Non è possibile, non dovrei neanche poter aprire gli occhi e parlare”, mi dice. Eppure lui parla e mi guarda negli occhi. Sono spaventata come lui. Mi chiedo come sia possibile che mi stia parlando e guardando e non sia ancora svenuto. Mentre gli sorrido, gli misuro la pressione. “La malattia ha toccato anche i vasi”, gli spiego. La pressione è altissima. Lui mi dice sorridendo: “Ho anche dei funghi alle dita, me li curo ogni anno con una crema e poi passano”.

Sorrido anche io e guardando i suoi piedi, li trovo entrambi tagliati trasversalmente, due ulcere che percorrono l’attaccatura delle dita. “Queste sono due ferite, ferite che vengono dal diabete”, gli spiego. “Anche lì?”, mi dice lui. “Tu usi i calzini? I calzini sotto gli stivali di gomma, che servono a proteggersi dal freddo”. Quella gomma è arrivata a tagliare i piedi, giorno dopo giorno. “Li lavi i piedi? E’ molto importante per evitare questi effetti della malattia diabete”, continuo.

Sek lava i piedi quando c’è posto in tendopoli. “Non c’è l’acqua calda nella fabbrica”, mi spiega. La fabbrica è la struttura abbandonata dove vive, vicino alla tendopoli di San Ferdinando. Dorme su di un materasso poggiato a terra, senza bagno. E se vuole l’acqua calda se la deve comprare, perchè in queste nuove piccole città africane c’è anche chi fa lo scaldatore d’acqua di professione. Sek sorride, preoccupato come me e decidiamo con Alberto di madarlo l’indomani al pronto soccorso dicendogli che avrebbe dovuto aggiungere l’insulina. “Per non far propagare la malattia agli occhi, ai vasi e alla pelle, se non curata”, gli spiego. “Ho mangiato forse troppo riso”, mi dice. “Questo è quello che si mangia qui”.

L’indomani lo chiamo, mi risponde che al pronto soccorso gli hanno fatto una puntura, che la glicemia è scesa di cento unità, ma che non lo ha visto nessun diabetologo mentre avrebbe dovuto ripresentarsi ad una visita nel fine settimana con uno specialista dell’ospedale. Ci rivediamo dopo una settimana durante l’uscita del camper di Medu e mi racconta che la visita successiva non era stata esaustiva, gli avevano rimisurato la glicemia e fatto 10 unità di insulina ma, senza spiegargli niente, l’avevano rimandato a casa. Anzi, nella fabbrica abbandonata.

La glicemia di Sek ora va meglio, è ancora sotto effetto dell’isulina ma è ancora alta. Sorridiamo insieme, il suo spavento è un po’ passato. Gli spiego la necessità di variare dieta, di variare vita e di iniziare l’insulina, probabilmente per sempre. Mi guarda sempre con gli occhi calmi, mi dice: “non volevo arrivare all’insulina, sono venuto qui per lavorare”. Gli dico che programmeremo insieme una visita dal diabetologo, ci riproveremo con l’ambulatorio a Polistena di Emergency. È urgente ed è suo diritto. Lui ha la tessera sanitaria e ha un medico, ma il suo medico non è qui, è da un’altra parte. Dovrà quindi pagare la visita, ma è importante che lo faccia. Come è importante pensare ora a questo, e alle parti del suo corpo, che sono rese fragili dall’avanzare della malattia. Lui mi risponde: “sto lavorando qui perchè è così, mi devo spostare”. Pensando che i suoi diritti non viaggiano con lui, ma la sua malattia invece si ,lo ascolto. “La prossima settimana voglio tornare in Africa per un po’”.

Laura
Medico



Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha avviato a gennaio 2014 il progetto “TERRAGIUSTA. Contro lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura” in collaborazione con l’ Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e il Laboratorio di Teoria e Pratica dei Diritti (LTPD) del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre. Il progetto è realizzato con il supporto della Fondazione Charlemagne, di Open Society Foundations, della Fondazione con il Sud e della Fondazione Nando Peretti.


Per un maggior approfondimento si veda :

Terragiusta. Campagna contro lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura.