La storia di Zahir – “Non ora non qui” | Medici per i Diritti Umani

La storia di Zahir – “Non ora non qui”

Z. è venuto al camper di MEDU per un forte dolore ad una gamba che si era operato in Afghanistan perché colpito dalla scheggia di una bomba. Dormiva alla tendopoli della stazione Ostiense per cui lo abbiamo incontrato più volte.Durante il secondo colloquio ci siamo resi conto che era confuso e la sua situazione è emersa piano piano. È in Italia da tre anni e ha vissuto fra Milano, Bologna e Roma, ha ricordi confusi e sembra disorientato, si fida poco ed è chiuso in se stesso. Si apre solo con un’operatrice a cui consegna una cartella in cui custodisce le tracce della sua storia, documenti, cartelle mediche. Ha un permesso per protezione sussidiaria che scade a breve, un medico di base qui a Roma e ci mostra la ricetta per un antipsicotico che dice di non prendere. Riesce ad essere inserito immediatamente al centro di accoglienza Casa della Pace, che fondamentalmente è un tetto sopra la testa per la notte o poco più: durante il giorno non si può rimanere dentro ed è inevitabilmente caotico. È chiaro che ha bisogno di essere seguito da uno psichiatra, di iniziare una terapia per uscire dallo stato confusionale in cui si trova, ha incubi continui e soffre di insonnia. Inizia così un’odissea ancora inconclusa, nonostante gli sforzi di quanti ne hanno preso parte. MEDU chiede la collaborazione del Sa.Mi.Fo. (Progetto per la salute dei migranti forzati) che propone di inserirlo in un programma in cui gli avrebbero garantito cure mediche e psichiatriche, assistenza legale e un corso di italiano, ma il programma è tragicamente a corto di posti. Viene visitato da due medici del Sa.Mi.Fo. che decidono di prendere un appuntamento urgente con lo psichiatra della struttura, ma l’attesa minima è comunque di due settimane, decisamente troppe. Così viene accompagnato all’ambulatorio psichiatrico del Policlinico Umberto I.
Z. dimostra ora grande fiducia verso medici e operatori. L’ambulatorio psichiatrico lo invia al pronto soccorso generale chiedendone il ricovero. Lo psichiatra che lo visita al pronto soccorso ritiene però che le condizioni di sovraffollamento, mancanza di personale e di mediatori culturali potrebbero peggiorare la situazione, quindi consiglia che sia seguito a livello ambulatoriale e dopo avergli prescritto alcuni farmaci gli dà un appuntamento per la settimana successiva.
Nel frattempo si cerca anche una soluzione alloggiativa più adeguata, quindi si propone l’inserimento in un altro centro, sempre solo per la notte ma in cui almeno si troverebbe in stanza con solo 5 o 6 persone. I posti però non ci sono fino alla fine del mese. Si attiva anche la procedura per l’inserimento nei centri h 24 del Comune di Roma e nel Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) che lo potrebbe ospitare in appartamenti con poche persone, in cittadine di piccole dimensioni e gli potrebbe fornire una rete di inserimento e assistenza più idonea. La situazione rimane in bilico, Z. ha bisogno di casa e cure, ma non ora, non qui.