“Ex sanatorio Luzzi” | Medici per i Diritti Umani

“Ex sanatorio Luzzi”

Firenze, occupazione dell’ex sanatorio Luzzi a Pratolino
Scrive un volontario di MEDU / professione odontoiatra

Entri, dal buio del bosco, come ogni volta, e tutto sembra al suo posto. Fuori luogo. Il palazzo è fatiscente ma ti pare aver cambiato colore. In effetti, le pareti sono state ridipinte e subito sporcate.
Un monopattino rosa, buttato sulle scale, precede l’eco della sorpresa. Buu! Ancora una volta i bambini ci tendono “un agguato” e ci riescono; d’altra parte è facile con noi che, mentre scendiamo dalla strada nel bosco fino al palazzo, già ci teniamo stretti per paura dei “grandi maiali” – i cinghiali.
Odore dolce di padelle unte e odore acre di varechina mai a sufficienza.

Questo è uno stabile occupato, come molti ce ne sono nelle nostre città. Decine di famiglie ai margini della moderna Firenze del cambiamento.

In fondo al corridoio del seminterrato c’è una porta. Dietro, un’altra. Nella stanza, il letto grande come la stanza ti fa restare sulla soglia. Seduta sul grande letto, come una bambola, la giovane donna ci saluta. Attorno, i sacchi di coperte e di vestiti, la griglia elettrica su un mattone fa da riscaldamento e il pavimento scricchiola di piccoli ospiti. Di fianco al letto, la carrozzina socchiusa misura il limite di ogni spazio.
Aver perso la casa, avere la residenza in un’altra città e mille questioni burocratiche spesso sono ragione sufficiente per finire in un posto così nonostante qualsiasi condizione.

All’ultimo piano ci aspetta un amico; cinquantotto anni sul passaporto, lavoro perduto – “mastro carpentiere”, ci dice -, vivere qui e avere meno di 45 giorni per far scadere il permesso di soggiorno e diventare clandestino, dopo trent’anni passati in Italia con un lavoro. Ma all’ingresso svetta già un grande albero di Natale. “Così quando polizia, comune, asl viene vede che qui ci sono bambini e magari non butta fuori”.
Di posti così ce ne sono tutto attorno a noi. E di certo non sono posti dove si può vivere. Infatti, non si sceglie di viverci. Ma qui, in questo posto, quello coi “grandi maiali” che scorrazzano nel bosco attorno, sta per accadere un fatto: uno sgombero. Il punto è sempre il solito: cosa succederà dopo? La storia degli sgomberi a Firenze già ci ha fatto vedere famiglie lasciate sul margine di una strada in un mattino d’inverno. Qui, adesso, c’è un gran chiacchierare tra possibili progetti d’inclusione e servizi sociali. Quel che è certo è che queste persone non spariranno e, come già una volta non hanno scelto di vivere in un posto così, potrebbero non aver scelta che vivere in un altro posto così.

La palazzina fatiscente presto non esisterà più e chissà se anche i “grandi maiali” dovranno lasciare il posto a un albergo con il Giotto e il Brunelleschi per panorama?

Guido Benedetti