CIE inutili e incivili. Il governo intervenga subito | Medici per i Diritti Umani

CIE inutili e incivili. Il governo intervenga subito

I CIE sono luoghi generatori di violenza, non garantiscono in alcun modo i diritti umani delle persone trattenute e si sono dimostrati fallimentari nel contrasto dell’immigrazione irregolare. Solo l’uno per cento dei migranti in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale viene infatti effettivamente rimpatriato attraverso il sistema della detenzione amministrativa. Nel 2013 è probabile che questa percentuale si abbasserà ulteriormente. I CIE sono, in due parole, inutili e incivili. La sconcertante testimonianza video raccolta da un migrante al centro di Lampedusa (che pure è un centro di primo soccorso e accoglienza e non un centro di identificazione ed espulsione) e la drammatica protesta di queste ore di un gruppo di trattenuti al CIE di Ponte Galeria che si sono cuciti le labbra, dimostrano una volta ancora la necessità di riformare radicalmente – e da subito – un sistema di gestione dell’immigrazione incompatibile con quei diritti fondamentali che uno stato di diritto deve sempre garantire.

Le situazioni inumane e degradanti all’interno di queste strutture non sono episodi sporadici, comunque inaccettabili, ma pratiche e condizioni oggettive frequenti e perduranti. Il Governo e le Istituzioni devono, o dovrebbero, essere ben a conoscenza di queste palesi evidenze. Nel CIE di Torino – solo per citare alcune delle innumerevoli gravi criticità rilevate direttamente da Medici per i Diritti Umani (MEDU) – gli episodi di autolesionismo messi in atto dai migranti trattenuti nel corso del 2011 (ultimo anno di cui sono disponibili i dati) sono stati ben 157 tra ferite da taglio ed ingestione di corpi estranei. Vale a dire un episodio ogni 56 ore. Poco più di un anno fa, gli operatori di MEDU, visitando il centro di Lamezia Terme si sono imbattuti in una vera e propria gabbia – allestita dall’ente gestore nel cortile del centro, senza alcuna privacy – dove i migranti erano obbligati ad entrare se volevano radersi. Il manufatto, giustificato come misura di sicurezza per evitare atti di autolesionismo, costituiva a tutti gli effetti una sconcertante pratica di degradazione di esseri umani.

Medici per i Diritti Umani ribadisce oggi le considerazione e le richieste già formulate pochi giorni fa a seguito della visita effettuata presso il CIE di Via Corelli a Milano. Anche l’ispezione del centro milanese ha confermato le conclusioni del rapporto Arcipelago CIE pubblicato quest’anno da MEDU dopo un’indagine di dodici mesi durante la quale sono stati visitati in modo sistematico tutti i centri operativi in Italia. I CIE sono congenitamente incapaci di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona. Nello specifico, il prolungamento del trattenimento fino a un massimo di 18 mesi (2011), appare una misura irrazionale e del tutto priva di senso, in quanto non ha migliorato il tasso di espulsioni e al contempo ha sensibilmente contribuito a peggiorare le condizioni di vita dei migranti nei centri. Nel CIE di Milano, in particolare, destano preoccupazione le caratteristiche della struttura, assolutamente inadeguate a garantire condizioni di permanenza dignitose ai trattenuti. La situazione di elevata e costante tensione ha portato a numerosi episodi di rivolta che hanno reso inutilizzabili quattro dei cinque settori di cui è composta la struttura. Gli spazi e le attività ricreative risultano gravemente carenti. Particolarmente critica è l’assenza, da circa un anno, di servizi di assistenza psicologica e sociale, mentre, per quanto riguarda la tutela del diritto alla salute, appare del tutto insufficiente il collegamento con le strutture del servizio sanitario nazionale.

Il fallimentare sistema dei CIE pare implodere in questi mesi sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. A dimostrazione di questo vi sono le chiusure di vari centri nell’ultimo anno. Attualmente solo sei dei tredici CIE sparsi sul territorio nazionale sono effettivamente funzionanti. I CIE di Trapani (Serraino Vulpitta) e quello di Brindisi sono chiusi da oltre un anno, il centro di Lamezia Terme è stato chiuso nel novembre 2012 dopo che MEDU ne aveva denunciato le gravi carenze. I CIE dell’Emilia Romagna sono stati chiusi a febbraio (Bologna) e ad agosto (Modena) per lavori di ristrutturazione, dopo che le Prefetture, di fronte a esiti disastrosi sia per le condizioni di vita dei trattenuti sia dal punto di vista della gestione complessiva, avevano revocato gli appalti dei centri all’ente che se li era aggiudicati con gare al ribasso. Il CIE di Crotone è stato chiuso al principio di agosto dopo la morte di un giovane migrante e la successiva rivolta dei trattenuti. Il centro di Gradisca d’Isonzo è stato svuotato al principio di novembre dopo mesi di rivolte e proteste da parte dei migranti che ne denunciavano le condizioni inumane di trattenimento Allo stato dei fatti tutte queste chiusure dovrebbero essere transitorie anche se non si conoscono ad oggi i tempi di riapertura.

Il drammatico disagio nei CIE non riguarda del resto solo i migranti. Durante l’indagine svolta da MEDU le condizioni di lavoro degli operatori degli enti – per lo più privati – che amministrano i centri e degli agenti di pubblica sicurezza sono apparse assai critiche, per la difficoltà a gestire quelle che uno stesso funzionario di polizia ha definito “delle polveriere pronte ad esplodere”. E l’introduzione dei bandi di gara al massimo ribasso sembra aver avuto l’effetto di un detonatore. Dal 2012 il governo ha infatti adottato come unico criterio per l’assegnazione della gestione dei centri, quello dell’offerta economica minima, indipendentemente dalla qualità dei beni e dei servizi garantiti. Ciò ha inevitabilmente determinato un ulteriore e insostenibile scadimento delle strutture e dei servizi e un aumento delle rivolte e delle proteste da parte dei trattenuti. Bisogna inoltre considerare che la maggior parte dei centri attualmente operativi funziona a scartamento ridotto per ragioni di sicurezza o perché molti settori sono inagibili o danneggiati. I centri di Roma (circa 100 presenze su 364 posti, dato aggiornato al 2 dicembre) , Milano (28 presenze su 132 posti, dato aggiornato al 9 dicembre) e Torino (98 presenze su 210 posti, dato aggiornato al 23 ottobre), ad esempio, ospitano un numero di immigrati ben inferiore alla loro effettiva capienza. Se si considera poi che i sette centri chiusi dispongono di 709 posti rispetto ad un totale disponibile di 1901, si può dunque ritenere che attualmente i CIE italiani operino ben al di sotto del 50% della loro capacità ricettiva. Perché dunque non procedere al superamento definitivo di un sistema, già di fatto dimezzato, che in sedici anni di funzionamento ha dimostrato di rappresentare un costante vulnus ai diritti umani nel nostro paese oltre che la propria palese inefficacia nel contrasto dell’immigrazione irregolare?

MEDU torna dunque a chiedere:
1) la chiusura di tutti i centri di identificazione ed espulsione attualmente operativi in Italia, in ragione della loro palese inadeguatezza strutturale e funzionale;
2) la riduzione a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, del trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio.
3) L’adozione di misure di gestione dell’immigrazione irregolare, caratterizzate dal rispetto dei diritti umani e da una maggior razionalità ed efficacia (vedi le proposte di MEDU nel rapporto Arcipelago CIE) nell’ambito una profonda riforma delle politiche migratorie e dell’attuale legge sull’immigrazione.
4) La predisposizione di centri di primo soccorso e accoglienza degni di questo nome, in cui in cui i migranti rimangano il tempo strettamente necessario e siano garantiti adeguati standard di assistenza e servizi dignitosi.

VEDI LA SINTESI DEL RAPPORTO ARCIPELAGO CIE
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Medici per i Diritti Umani (MEDU) onlus, organizzazione umanitaria indipendente, porta avanti dal 2004 il programma “Osservatorio sull’assistenza socio-sanitaria per la popolazione migrante nei CPTA/CIE”. MEDU aderisce alla campagna LasciateCIEntrare. Il rapporto Arcipelago CIE (2013) è stato realizzato con il contributo di Open Society Foundations.

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Tipo di documento: Comunicati stampa